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RENZI, LA RUSSA, SALVINI E LE DIVISE MILITARI. QUANDO LA MIMETICA DIVENTA UN EVIDENZIATORE

(di Giovanni
Maria Bellu
) Inutile
domandare ai generali quanto veramente è utile per la sicurezza personale
indossare la tuta mimetica quando già ci si trova all’interno di una base
militare super-blindata. “E’ utile, non è solo per fare scena”,  è
l’immancabile risposta. Perché “non si sa mai”, perché un target
particolarmente ambito – qual è un premier o anche un ministro della Difesa – è
certamente più protetto se è meno facilmente individuabile. In definitiva, dal
punto di vista della sicurezza, la mimetica non serve tanto a mimetizzarsi col
territorio, ma a confondersi con la massa dei militari.

Ovvio.
Ma questo aspetto tecnico passa del tutto in secondo piano rispetto al
messaggio che il politico in divisa militare trasmette. C’è infatti un limite
invalicabile alle possibilità di mimesi: la propria storia. Da questo punto di
vista è da comprendere il disappunto di Ignazio La Russa il
quale, dopo aver visto le immagini libanesi del premier, ha ricordato che
quando fu lui a indossare la mimetica – oltretutto in un luogo ben più
pericoloso del Libano, l’Afghanistan – “l’intellighenzia di sinistra” e i
“giornalisti di regime” scatenarono un coro tra l’ironico e l’indignato che
aveva come ritornello a locuzione “esibizione fascistoide”. La Russa, pare aver
dimenticato che prima di quella ‘esibizione’ il fascistoide, anzi il fascista,
c’era già. Ed era, orgogliosamente, proprio lui.
Diciamo
che la mimetica, proprio come la pelle del camaleonte, è strettamente connessa
a chi si trova al suo interno, quando all’interno c’è un politico. E, in questi
casi, produce un effetto esattamente opposto rispetto alla sua funzione:
evidenzia. Sorprendente, per esempio, l’effetto della mimetica su Gianfranco
Fini
, il 25 aprile del 2011, quando, da presidente della Camera, visitò il
contingente italiano di stanza a Herat, in Afghanistan.

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All’epoca Fini aveva
già lasciato il Pdl, fondato “Futuro e libertà”, preso le distanze dal passato
fascista. Ma ebbe la pessima idea di abbinare la mimetica con un paio di
occhiali scuri realizzando un inquietante “effetto Pinochet”.

Di Renzi la
mimetica pare esaltare l’amor proprio, l’alta considerazione di sé. E’ apparso
perfettamente a suo agio e – forse per sottolineare anche visivamente che non
si era messo in divisa per “fare scena”, ma per comunicare la sua vicinanza ai
nostri soldati – ha optato per lo “spezzato”: giacca mimetica e pantaloni
“borghesi”, nello specifico un paio di blue jeans. Scelta analoga a quella
fatta da Pier Ferdinando Casini nel 2004, in occasione di una visita a
Nassiriya (ma i pantaloni erano quelli dell’abito) e dallo stesso Ignazio La
Russa. Il quale, pur nel rammarico per la disparità di trattamento riservatagli
da “intellighenzia” e “giornalisti di regime”, ha condiviso l’opportunità della
mimetica: “Segno di vicinanza e solidarietà agli uomini e alle donne con le
stellette che difendono la pace e onorano l’Italia”.

Ma
proprio per questa ragione, ha prevedibilmente osservato Matteo Salvini,
il premier “non ne è degno”. “Una immagine penosa”, ha gridato sulla sua pagina
Facebook. Un livore dietro il quale, forse, c’è un po’ di invidia perché Renzi
ha indossato una divisa “autorizzata”. Salvini, invece, in occasione della
manifestazione organizzata lo scorso 15 ottobre dal Sap e da altri sindacati,
indossò una felpa acquistabile on line, ma solo “dagli appartenenti alle forze
di polizia”. E la cosa non piacque a tutti i poliziotti. Ci fu chi domandò
se  non si fosse in presenza di una evidente violazione dell’articolo
dell’articolo 498 del codice penale che punisce la “usurpazione di titoli e onori”.

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