Carabinieri

Il carabiniere accoltellato dai baby rapinatori è tornato a casa: «Non posso perdonare»

È tornato a casa da pochi giorni Maurizio Sabbatino, il carabiniere accoltellato da due baby rapinatori mentre cercava di sventare un assalto in farmacia in corso Vercelli, lo scorso 29 novembre. Ha trascorso più di un mese in ospedale e ha ricevuto un encomio solenne dal comandante dell’Arma dei carabinieri per il suo «eroico gesto».

Dopo i fendenti all’addome, alla gamba e al torace era stato sottoposto a due delicati interventi chirurgici dai medici del San Giovanni Bosco ed è stato a lungo ricoverato nel reparto di rianimazione: «Ho avuto paura di morire e di lasciare la mia famiglia da sola – ha dichiarato il brigadiere capo durante l’intervista rilasciata a Giacinto Pinto del Tg1 — Quello che mi rimarrà in testa per sempre è la freddezza di chi mi ha colpito. Aveva gli occhi di ghiaccio». A impugnare il coltello a serramanico, secondo la ricostruzione dei carabinieri e della Procura era Mario (nome di fantasia), appena 16 anni, studente di un istituto alberghiero che aveva partecipato al colpo organizzato da Francesco Farace, diciottenne con qualche piccolo precedente.

Un assalto strampalato e rocambolesco, concluso con il ferimento di Sabbatino che, pur essendo fuori servizio, aveva cercato di bloccare i giovanissimi criminali: «Ho una cicatrice che parte da qua è arriva qua — dice mostrando alle telecamere quello che sarà il ricordo indelebile di quel gesto eroico — Quando l’ho vista ci sono rimasto male, non pensavo di aver uno squarcio del genere». Poi ricorda quei drammatici momenti: «Ho gridato “alt carabinieri. inginocchiatevi e mettetevi con le mani dietro la testa”. Quello con il coltello è rimasto subito disorientato, forse per un attimo hanno avuto paura. Invece io non ero armato e così poi hanno preso coraggio e uno dei due, quello con il coltello che ero riuscito a bloccare, mi ha colpito».

Sabbatino non riesce a perdonare quei ragazzi: «Che non me ne vogliano i genitori che non me voglia nessuno, però non posso perdonarli. Il mio lavoro è intervenire, prevenire e reprimere eventualmente. Perdonare lo lascio a qualcun altro». Poi però si lascia andare a un messaggio di speranza: «Ragazzi commettere reati non è la cosa migliore e non vi porterà mai ricchezza. Potete e dovete crearvi un futuro, ma positivo e legale e non negativo e illegale».

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