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SPESE MILITARI, L’ITALIA TAGLIA MENO DEGLI ALTRI PAESI

Le
spese militari dell’Italia sono troppo alte?
 Il tema torna di attualità dopo che la legge di stabilità 2015 ipotizza proprio per il ministero della difesa
i maggiori tagli, almeno rispetto al proprio budget.

La cosa più semplice è guardare i numeri. Secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI),
istituto di ricerca indipendente, nel 2013 questo capitolo è costato 24,6
miliardi di euro. Tanto o poco? Proviamo a fare un confronto.
Se ha poco senso prendere i considerazione Stati
Uniti o Cina – diversi da noi sia per popolazione che ruolo geopolitico –, un
metro di paragone possono essere Francia, Spagna, e Germania. Tutti paesi più
vicini a noi, e con i quali ci confrontiamo sul piano delle relazioni
internazionali.
Qui la Francia è la prima, con una spesa che supera
di poco i 46 miliardi di euo; subito dopo viene la Germania, con 36,7, seguita
dall’Italia. La Spagna invece si trova molto più in basso e non arriva neppure
a 10 miliardi di euro.

Questo però è solo un modo per fare il confronto.
Con tutte le somiglianze del caso, fra quei paesi esistono anche numerose
differenze: anzi tutto per la dimensione delle diverse economie. La Germania,
per esempio, ha un PIL che è più alto di quello francese (per non parlare
dell’italiano), ma è allo stesso tempo anche la più popolosa delle quattro.
Un sistema comunemente usato per compensare queste
differenze è calcolare la spesa militare rapportandola, in percentuale, al PIL
di un paese. In questo modo si può capire quanta parte del proprio “sistema produttivo”
viene devoluta alla spesa per armamenti.
Se usiamo questo criterio la classifica cambia:
cresce l’impegno di Spagna e Italia, con quest’ultima che supera la Germania.
Secondo il SIPRI, infatti, nel 2013 la Francia ha devoluto alle spese militari
il 2,2% del proprio PIL, contro l’1,6% del nostro paese e lo 0,9% della stessa
Spagna. Potremmo aggiungere al conto anche il Regno Unito, che è appena sopra
la Francia con il 2,3%.
La situazione è molto cambiata negli ultimi
vent’anni. Alla fine della guerra fredda, nel 1991, praticamente tutti
i paesi investivano una parte molto più consistente delle proprie risorse nel
settore militare.
Il
Regno Unito più di tutti:
 in
quell’anno la spesa rispetto al PIL arrivava quasi al 4%, mentre per la Francia
era appena meno del 3,5. Comunque molto più di oggi, rispetto alla dimensione
complessiva delle diverse economie. In Spagna era il doppio, relativamente
parlando. Ma l’Italia? Anche da noi c’è stata una riduzione, anche se
più contenuta.
 Nel Regno Unito, per esempio, il calo ha superato un
punto percentuale, in Spagna e Germania è stato poco meno di uno, mentre nel
nostro paese si è assestato su uno 0,5% rispetto al PIL.
Questa dunque la situazione, almeno fino ai prossimi
tagli – ammesso che poi tagli saranno davvero.
  

Nota: la definizione di spesa militare considerata
dal SIPRI comprende forze armate e paramilitari (con gli stipendi del relativo
personale), oltre agli investimenti in ricerca e mezzi. In Italia, inoltre, le
spese per la difesa comprendono anche quelle destinate all’arma dei
carabinieri.

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