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La Difesa italiana: potenza di fuoco o potenza… di carta? I Vertici promettono snellimento, ma la realtà racconta un’altra storia

La promessa di snellimento burocratico risuona con forza nei discorsi dei vertici della Difesa italiana, dal sottosegretario Perego di Cremnago al comandante generale dei Carabinieri Luongo, fino al capo di Stato Maggiore dell’Esercito Masiell. Ma dietro le buone intenzioni si nasconde un sistema incancrenito che resiste ostinatamente a ogni tentativo di riforma.

Il paradosso dell’informatizzazione: doppio lavoro invece di efficienza

Le Forze Armate italiane vivono ancora ostaggio dei registri. Nonostante un ventennio di presunta innovazione tecnologica, l’informatizzazione ha paradossalmente aumentato il carico burocratico invece di snellirlo. Il risultato? Si compila meticolosamente il formato cartaceo e poi si inseriscono gli stessi dati nei sistemi informatici. O viceversa. Un assurdo raddoppio delle procedure che non ha eliminato un solo foglio di carta. Si badge elettronicamente e poi si controfirma su registri cartacei, in un balletto kafkiano dove la modernità e l’anacronismo danzano insieme come in un grottesco valzer, dove ogni militare è costretto a inchinarsi due volte davanti all’altare della burocrazia.

Nelle caserme italiane si producono ancora tonnellate di carta, copie e sottocopie, registri di ogni tipo. Esiste un registro per ogni attività immaginabile, spesso accompagnato dal “registro del registro” e persino dal “sottoregistro del registro”. Una proliferazione documentale che non ha eguali nel panorama internazionale e che trasforma i militari in impiegati frustrati. Dietro l’apparente rigore delle forze armate italiane si celano intricati labirinti burocratici, talvolta eccessivamente complicati.

Gestione del personale, logistica degli equipaggiamenti e pianificazione operativa s’intrecciano in un sistema che, paradossalmente, sembra operare più efficacemente sui documenti che in pratica.

La visione strategica di Perego di Cremnago: servono fatti, non parole

“Se vogliamo recuperare una visione strategica, dobbiamo rendere le nostre democrazie più competitive,” ha dichiarato al “Giornale” Matteo Perego di Cremnago, sottosegretario alla Difesa. “Serve meno burocrazia e la possibilità di essere proattivi.”

Parole condivisibili, ma che restano lettera morta senza un intervento drastico. Non bastano le buone intenzioni quando l’intero sistema è programmato per moltiplicare passaggi invece di semplificarli. Il sottosegretario dovrebbe chiedersi: quanti degli ostacoli burocratici che denuncia potrebbero essere rimossi con un suo intervento diretto?

Luongo e Masiello: buone intenzioni che attendono azioni concrete

Il Comandante Generale dei Carabinieri Salvatore Luongo promette “meccanismi più virtuosi, rapidi ed efficaci,” mentre il Generale Carmine Masiello afferma senza mezzi termini che “l’esercito non è fatto per vivere nella burocrazia, ma per prepararsi alla guerra.”

Ma quanta autorità stanno realmente esercitando per abbattere questo sistema? Quanti registri inutili hanno eliminato? Quante procedure ridondanti hanno semplificato? L’indirizzo email “menoburocrazia@esercito.difesa.it” creato da Masiello rischia di diventare l’ennesimo contenitore di buone idee destinate a non vedere mai la luce.

Serve un commissario speciale per la sburocratizzazione

La verità è che la situazione è talmente compromessa che non basta più la volontà di un comandante, di un sottosegretario o, forse, persino di un ministro. La sburocratizzazione necessita di un commissario ad actacon pieni poteri, che vada fisicamente nelle caserme ad annotare l’assurdità che si cela dietro la burocrazia inventata nelle Forze Armate.

Questo commissario dovrebbe avere l’autorità di tagliare procedure, eliminare registri ridondanti e additare lo spreco di risorse ai comandanti che inventano immotivate carte e procedure. Dovrebbe poter segnalare direttamente ai vertici politici i responsabili dell’inefficienza, con la possibilità concreta di rimuoverli dai loro incarichi.

Del resto, si sa che quando un comandante rischia di pagare di tasca propria – in termini economici, di carriera e di prestigiomiracolosamente tutto diventa possibile e le procedure “assolutamente necessarie” svaniscono come nebbia al sole.

Chi protegge i burocrati in divisa?

I temuti ispettori della Difesa, durante le loro visite, dovrebbe notare le montagne di carta che vengono prodotte e poi buttate. Dovrebbero rilevare il tempo prezioso sprecato in attività che non aggiungono alcun valore operativo. Perché questa cecità selettiva?

Forse perché sono figli di quel sistema e vedono la burocrazia come un rito sacro anziché come un cancro da estirpare.

In passato si parlava con enfasi di “caserme green” e sostenibilità ambientale, ma quale ecologia può esistere in un sistema che divora foreste intere per alimentare le maglie della burocrazia, che consuma toner come fossero caramelle e che riempie discariche con moduli compilati in triplice copia? L’unica cosa “verde” in questa storia è il volto di chi, dall’esterno, osserva questo spreco sistematizzato.

Se esistesse una classifica internazionale che valutasse le forze armate in base alla complessità burocratica, l’Italia sarebbe indubbiamente in cima alla lista. Un primato di cui non possiamo certo andare fieri.

Rearm sì, ma la vera potenza sta nelle riforme strutturali

Si parla molto di ReArm, di aumento della spesa militare, di acquisto di nuovi armamenti. Ma a prescindere dall’utilità o meno di questi investimenti, le Forze Armate si migliorano non solo con i riarmi, ma anche – e forse soprattutto – con riforme strutturali che porterebbero sicuramente a un risparmio di risorse e a un maggiore benessere lavorativo. Un esercito intrappolato nella burocrazia non diventa più efficiente semplicemente con armi più moderne.

La mancanza di coraggio dei comandanti

La parola d’ordine deve essere snellimento, ma questo presuppone il coraggio dei comandanti di rompere con la tradizione, di assumersi la responsabilità di eliminare procedure obsolete, di rischiare critiche per cambiare davvero le cose.

Quando questo coraggio manca, è responsabilità dei vertici politici intervenire con decisione. Chi non è in grado di guidare il cambiamento dovrebbe essere sostituito con chi ha la visione e la determinazione necessarie.

O si cambia davvero o si cambia chi comanda

Ministro Crosetto, sappiamo che ci legge – e sì, ne siamo lieti – ma ora è il momento di passare dalle letture all’azione. È ora di affondare il bisturi: convochi i suoi ispettori, sbatta i pugni sul tavolo e, se necessario, azzeri tutto e ricominci.

La vera potenza militare italiana non si misura in miliardi spesi o in carri armati acquistati, ma nella capacità di trasformare quei miliardi in reale efficienza operativa, strappando via le catene burocratiche che soffocano il potenziale dei nostri uomini e donne in divisa.

Dalle stazioni dei carabinieri trasformate in uffici di copisteria ai reggimenti dove si compila più di quanto si addestri, alle addettanze militari intrappolate in procedure obsolete agli ospedali militari sepolti sotto pile di scartoffie, – ovunque volga lo sguardo, vedrà la stessa malattia: la burocrazia come fine, non come mezzo. Agisca, Ministro, prima che le brigate italiane diventino esperte in compilazione moduli più che in operazioni militari.

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