Polizia

«Condannato un poliziotto per aver fatto bene il proprio lavoro? Fa rabbrividire»

Condannato a 1 anno e 7 mesi il Sovrintendente Capo della Polfer che da solo tre anni fa arrestò un pluripregiudicato clandestino armato di due coltelli in pieno centro città. Un pluripregiudicato, clandestino, ubriaco oltre ogni misura, armato di due coltelli che, nel 2020 rappresentava un grave problema per l’intero centro città, quando decine di esercenti e cittadini avevano preso a chiamare ripetutamente i numeri di emergenza segnalandone la presenza. Oggi quel signore rappresenta invece la parte offesa mentre l’imputato, addirittura condannato, è un poliziotto, uno di quelli che chiamiamo quando abbiamo paura, quando serve qualcuno che usi la forza al nostro posto, colui che quel giorno si preoccupò di disarmare ed arrestare quello che allora rappresentava un problema.

Un video del sottopassaggio, quei video che tanto dovrebbero tutelarci attraverso le bodycam richieste da molti politici, è invece lo scoglio sul quale si è abbattuto l’entusiasmo e la motivazione di chi quel giorno era convinto di avere fatto il proprio dovere. Quel video bianco e nero sgranato passato al setaccio non riporta le nostre emozioni il nostro battito cardiaco e la temperatura del momento e ciò che deve cambiare è la fiducia in noi da parte di chi esamina le immagini perché noi siamo i buoni in questo dannato film lo volete capire?

Vedere uno tra i poliziotti più operativi e preparati accasciarsi in ginocchio con gli occhi lucidi dopo avere ascoltato una condanna inaspettata fa rabbrividire, fa sentire impotenti abbandonati e sbagliati. Accanto a lui solo alcuni di noi e gli avvocati che ovviamente dovrà pagare di tasca propria, nessuno dei nostri vertici, nessuno che gli facesse sentire quel senso di appartenenza alla Polizia di Stato, quello che sappiamo così bene celebrare sui social in feste, commemorazioni e parate, quello che veicoliamo nelle immagini dei poliziotti che si mettono a cucinare per gli anziani soli, che salvano un cane ma che non sentiamo quando siamo chiamati a rispondere per l’uso della forza, quella Forza che solo noi siamo chiamati a utilizzare per poi essere messi alla gogna.

Quel poliziotto mi ha detto “avrei preferito ricevere due fendenti da quel soggetto piuttosto che questa condanna” e forse tutto sarebbe stato visto con altri occhi. Abbiamo un’infinita fiducia nella giustizia e siamo certi che i prossimi gradi di giudizio chiariranno questo immenso equivoco ma cercate di capire lo stato d’animo di un poliziotto, di uno che cercando di fare al meglio il proprio lavoro prende una condanna, spende parecchie migliaia di euro per giustificare un comportamento operativo e si dovrà scontrare con l’ulteriore processo disciplinare previsto dal nostro regolamento interno e cercate di capire la preoccupazione e lo svilimento di quanti ogni giorno operano sulle nostre strade e città, pensate a quante volte rifletteranno prima di estrarre il taser o la pistola ed a farne le spese di questa paura saranno prevalentemente i cittadini, i tantissimi che invece ci fanno sentire il loro appoggio sui nostri canali ed ogni volta che li incontriamo nelle piazze.

A Varese ci sono altri colleghi che attendono esiti di indagini cui sono stati sottoposti per denunce di pluripregiudicati, per denunce che si sa non costano molto ma restituiscono l’importante risultato di affievolire la nostra credibilità e quella dei nostri atti, facendoci lavorare come chi cammina sulle uova. Fino a ieri ci interrogavamo sul “ma chi ce lo fa fare tanto escono ancor prima che termineremo di scrivere i verbali di arresto”, “ma chi ce lo fa fare tanto leggiamo pene sempre più blande”, e se ora che sono sempre di più i rischi di essere denunciati e di passare noi stessi guai con la giustizia l’interrogativo diventasse solo “ma chi ce lo fa fare?”. Ci sono arrivati messaggi di vicinanza da sindacati e colleghi di Polizia, Carabinieri e Polizia Locale, segno che la preoccupazione è forte e reale, per favore non fateci disaffezionare da questo lavoro che per noi è una missione ma non può divenire un incubo, non lasciateci soli.

Paolo Macchi
(Segretario generale del Siulp)

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