Carabinieri

Bologna, la prima negoziatrice donna. Anna Chiara: “Così lavoriamo per salvare vite”

Trentacinque anni, una laurea in Psicologia, il maresciallo Anna Chiara Callipo è la prima donna a ricoprire il delicatissimo ruolo di negoziatore al comando provinciale dei carabinieri. “In questo lavoro non conta se si è uomo o donna. Contano le competenze. Ma soprattutto la capacità di ascoltare, con empatia, chi è in difficoltà e riuscire a instaurare una comunicazione”, dice.

Maresciallo Callipo, cosa l’ha spinta a entrare nell’Arma e diventare negoziatrice?

“Sono entrata nell’Arma in ricordo di mio padre, anche lui carabiniere, che è morto quando ero adolescente. Prima di arruolarmi ho conseguito la laurea magistrale in Psicologia e una volta nell’Arma ho cercato di coniugare le mie due passioni. Per questo ho voluto approfondire sia i miei studi, tanto che a fine mese concluderò il percorso di specializzazione diventando psicoterapeuta, sia ho avuto l’opportunità di fare, all’interno dell’Arma, il corso come negoziatore di primo livello, acquisendo questa bellissima specializzazione. Credo che sia la coniugazione perfetta tra il mio essere psicologa e l’incarico in territoriale. Come negoziatore metto in servizio tutta me stessa, metto in gioco il più possibile tutte le mie capacità. Se da una parte i miei studi in psicologia mi hanno aiutata a superare il difficile corso di formazione per diventare negoziatore dei carabinieri dall’altra, l’importanza della comunicazione e dell’ascolto sono qualità peculiari dell’essere carabiniere. Ascolto empatico e capacità comunicative, infatti, sono qualità richieste a chi si relaziona con una persona che versa in stato di necessità e di crisi e per questo l’Arma, già da diversi anni, ha voluto formare militari specializzati ad intervenire nelle situazioni più critiche”.

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È la prima donna a ricoprire questo ruolo a Bologna?

“Sì. Eredito questo incarico dal luogotenente Vincenzo Barone, che lo ha rivestito egregiamente per molti anni. Come me ci sono diverse donne negoziatrici tra le fila dell’Arma”.

Ha incontrato difficoltà o è stata discriminata dalle persone con cui si è trovata a trattare, in virtù del fatto di essere donna?

“In una negoziazione quello che conta non è il genere di chi negozia o di chi necessita di aiuto. Certo, ci possono essere dei pregiudizi o delle resistenze dovute a questioni personali o socio-culturali, tuttavia la chiave di una buona negoziazione è instaurare un rapporto empatico con la persona che si ha davanti e porsi in suo ascolto, e questo prescinde da questioni di genere. In una negoziazione importanti sono la credibilità e la congruenza di chi si propone di aiutare la persona in crisi. Nel momento in cui il negoziatore si pone in ascolto e si dimostra realmente coinvolto nei confronti di chi ha davanti allora si instaura un confronto autentico ed eventuali questioni di genere si annullano”.

Quanto è un vantaggio e quanto uno svantaggio essere donna nella sua professione?

“Come nel campo della negoziazione, conta la professionalità. Certo, nell’ ambito militare, di lunga tradizione maschile, le donne hanno ancora molti traguardi da raggiungere ma credo che ogni persona, con la sua individualità, possa dare il suo apporto ed è questo quello che conta, a prescindere dall’essere uomo o donna”.

Come entra in contatto con le persone che ha di fronte? Che ruolo gioca l’empatia?

“Alla base di una buona negoziazione c’è l’importanza di instaurare un contatto empatico. Spesso le persone non chiedono altro che essere ascoltate in maniera autentica e laddove loro non vedono più vie d’uscita, accogliere i loro vissuti e le loro emozioni può essere la breccia per entrare in connessione con loro e sciogliere lo stato di crisi. Nel corso di una negoziazione, poi, abbiamo il supporto dell’Arma territoriale che ci fornisce tutte le informazioni sulla situazione di crisi e quello tattico delle aliquote operative denominate Api/Sos, che vengono dispiegate dove c’è necessità di un intervento che debba garantire la messa in sicurezza del negoziatore e del soggetto che minaccia azioni violente”.

Ricorda qualche episodio particolare?

“Ogni intervento è unico così come le storie delle persone verso cui la negoziazione si indirizza. La scorsa settimana sono intervenuta per un uomo che si è barricato in casa quando alcuni colleghi sono andati ad arrestarlo perché destinatario di un ordine di carcerazione. Ha minacciato di suicidarsi prima dandosi fuoco, poi brandendo coltelli e infine salendo sul parapetto del balcone dicendo di volerla fare finita. Per quanto potesse aver sbagliato nella sua vita, durante quelle ore di negoziazione mi sono focalizzata sul fatto di avere davanti a me un uomo disperato che voleva con tutto se stesso cambiare vita. Il carcere per lui era una sconfitta. Ho ascoltato la sua storia e ho cercato di far leva sulla sua voglia di riscatto. Solo l’estremo gesto che minacciava di mettere in atto poteva impedirgli di cambiare la sua vita. Si può ripartire anche dai momenti che ci sembrano più bui. Me lo ha insegnato lui uscendo di casa e stringendomi la mano, ringraziandomi di averlo ascoltato”. (Nicoletta Tempera per il Resto del Carlino)

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