Carabinieri

AVVOCATO CARTA: “LO STATO NON INDIETREGGIA AL COSPETTO DEI DELINQUENTI”

Pubblichiamo un intervento dell’avvocato Giorgio Carta, da sempre al fianco di militari e poliziotti, in merito alle dichiarazioni del Ministro Trenta sull’aggresione di un carabiniere da parte di alcuni tifosi.

Gentile signora Trenta,
premesso che la ritengo da tempo il miglior Ministro della difesa che io ricordi dacché mi occupo di questioni militari, mi permetto di rivolgerle alcune mie riflessioni in merito alla sua decisione, odiernamente resa pubblica dalla stampa, di conferire un encomio al carabiniere barbaramente aggredito a Roma nei giorni scorsi da una folla di mascalzoni che qualcuno ha ancora l’ardire di chiamare tifosi.
Ho applaudito alla sua tempestiva iniziativa di parlare personalmente col militare e di rappresentargli la vicinanza dello Stato in questo grave momento personale e professionale (azione questa tanto banale quanto purtroppo rarissima, visto il senso di solitudine e di abbandono avvertito spesso dai nostri cittadini in uniforme). Devo però sommessamente rappresentarle una perplessità che (ne sono convinto, avendo io il malaugurato vezzo di frequentare ogni giorno, nel lavoro e non, tanti operatori della sicurezza) probabilmente non è solo mia.
Sono favorevole alla sua iniziativa di premiare il giovane carabiniere che, malgrado tutto, pur accerchiato da una folla inferocita, ha sostanzialmente mantenuto la calma ed ha evitato la degenerazione degli eventi. A lui va la mia personale solidarietà da cittadino ed un sincero abbraccio da ex collega.
Mi pare, però, che la sua premiazione possa lanciare coram populo un messaggio pericoloso o un modello comportamentale che non mi convince, anzi mi spaventa: quello del carabiniere (rectius: dello Stato) che indietreggia al cospetto dei delinquenti e che accetta di subire una violenza piuttosto che reagire e reprimere i reati in atto con l’uso della forza e, diciamolo chiaramente, delle armi.


Sia chiaro: ciascuno di noi è consapevole che quelli sono momenti molto difficili, nei quali è arduo mantenere la forza d’animo per affrontare con decisione ed impeto minacce ed aggressioni così gravi (quindi non creda minimamente a coloro che le dicono che, al suo posto, avrebbero affrontato con più coraggio la situazione: dal divano di casa siamo tutti intrepidi e forti, me compreso).
Ritengo, però, pericoloso (per le forze dell’ordine, ma soprattutto per la sicurezza pubblica) che il militare che fugge (mi scuso con l’interessato per l’utilizzo di questo verbo) diventi un modello di azione, addirittura da premiare.
Mi pare, invece, che il modello da esaltare, da elogiare pubblicamente e da diffondere (sia tra gli operatori della sicurezza che tra i loro aggressori) sia quello dell’operante che non indietreggia e che, anzi al cospetto di una minaccia grave in atto, faccia un uso legittimo delle armi. Diversamente argomentando, il rischio è che la forza pubblica (ci sarà un motivo per chiamarla così!) si senta più incline o ritenga più conveniente e finanche utile per la carriera (gli encomi pesano nei concorsi!) l’indietreggiamento davanti al pericolo o alla delinquenza.


Le chiedo allora, affinché sia evitato in qualsiasi modo il diffondersi di tale pericoloso modello comportamentale, di volgere l’attenzione ad un altro caso di cronaca tornato negli stessi giorni alla ribalta della cronaca: quello del maresciallo dei carabinieri Marco Pegoraro.
Questi, era sottoposto a processo per avere sparato e ucciso, il 29 luglio del 2015, un ragazzo che stava colpendo violentemente il compagno di pattuglia, con il rischio di ucciderlo. Il maresciallo era intervenuto in difesa del collega, percependolo in pericolo di vita, e prima ha sparato due colpi in aria a scopo intimidatorio, poi ha mirato sull’aggressore e lo ha ucciso perforandogli l’addome. Detto per inciso, un caso del genere si sarebbe risolto senza manco un ferito, col solo uso del taser, che però – ancora oggi – non è in dotazione a tutte le pattuglie operanti sul territorio, ma questo è un altro (importante!) discorso.


Il sottufficiale è stato assolto (la sentenza non è definitiva), ma ora temo che nessuno si ricorderà più del suo travaglio processuale e personale. Le chiedo, pertanto, di farlo lei, signor Ministro, se mi permette un suggerimento. Il militare in questione ha salvato la vita di un collega assumendosi il peso non solo giudiziario (che non è poco), ma soprattutto personale e morale di togliere la vita ad un altro uomo. Ho conosciuto abbastanza carabinieri che si sono trovati nella medesima situazione e che non si sono più liberati di tale angoscioso ricordo.


Ritengo che forse, con tutto il rispetto e la solidarietà che dobbiamo al carabiniere intervenuto a Trastevere, il modello da esaltare sia quello dello Stato che riafferma il proprio controllo del territorio, risultando fin troppo evidente – dalla semplice visione dell’aggressione del carabiniere a Roma – che in Italia, a differenza che in gran parte dei paesi stranieri, sia ben noto ai violenti di poter aggredire gli operai in uniforme senza rischiare più di tanto una pronta reazione fisica, proporzionata ma dura.
Vogliamo chiederci il perché?
Buon lavoro, Ministro!


Avv. Giorgio Carta

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