Guardia costiera

Una divisa che brilla, una macchina che arranca

(di Donato Angelini) – C’è un valore che non si misura in numeri né in medaglie, ma nella dedizione quotidiana, nel sacrificio silenzioso, nella competenza che non fa notizia. È il valore invisibile della Guardia Costiera italiana: una forza operativa che veglia sulle nostre coste, tutela le risorse del mare, garantisce sicurezza e legalità, spesso nell’indifferenza delle istituzioni e con risorse insufficienti.

Il valore invisibile della Guardia Costiera

Se da un lato il primo rapporto sull’impatto economico del Corpo, presentato nei giorni scorsi, offre finalmente una fotografia chiara del contributo concreto delle Capitanerie di Porto al sistema-Paese, dall’altra parte emerge con altrettanta forza la sproporzione tra risultati ottenuti e il contesto nel quale questi vengono raggiunti.

Una sproporzione che non può più essere ignorata, perché riguarda la sostenibilità stessa di un modello fondato su abnegazione e sacrificio. E sulla pelle di chi, ogni giorno, rappresenta una delle eccellenze dello Stato.

C’è un paradosso che si cela dietro la soddisfazione con cui si è letta, sulle pagine de Il Sole 24 Ore, l’intervista al Comandante Generale delle Capitanerie di Porto, Ammiraglio Nicola Carlone, in occasione della pubblicazione del primo rapporto sull’impatto economico delle attività del Corpo. Un paradosso che intreccia merito e sofferenza, prestigio istituzionale e logoramento umano.

La Guardia Costiera italiana è una delle eccellenze silenziose del nostro Paese. Custode di legalità, sicurezza e sostenibilità lungo 8 mila chilometri di coste, opera in un caleidoscopio di competenze che vanno dal soccorso in mare al controllo della filiera ittica, dalla tutela ambientale alla sicurezza portuale. Eppure, questa multiforme operatività si regge da anni su un sistema che mostra crepe profonde, le stesse che affiorano nel volto stanco ma determinato del personale.

Un contributo economico che supera le aspettative

Il rapporto annuale certifica l’enorme valore economico generato dall’azione quotidiana delle Capitanerie. “La Guardia Costiera aumenta del 53% le risorse a Lei assegnate. Se lo Stato dà loro 100 euro, le Capitanerie di porto – Guardia Costiera ne restituiscono 153 all’economia, solo considerando le attività dirette. Se fosse considerato anche l’indotto, in genere l’importo raddoppierebbe o addirittura triplicherebbe” si legge nel rapporto. 

Pochi uomini troppe responsabilità

Ma a fronte di una produttività che sorprende per vastità e capillarità, i numeri del personale disegnano un quadro allarmante. Su 7.914 chilometri di costa, ci sono appena 10.209 militari in servizio (solo 8.611 a tempo indeterminato). Tradotto in altri termini: 1,2 uomini per chilometro. Un dato che diventa impietoso se confrontato con la densità e la complessità delle attività nei porti, nei mercati ittici, nelle zone turistiche.

Un corpo che invecchia e perde forza

A questo si somma un altro dato ineludibile: l’età media. Oltre 4.500 militari hanno tra i 45 e i 60 anni, altri 2.484 sono nella fascia 40-45. E intanto le nuove leve faticano ad arrivare. Un’emorragia silenziosa, che nel solo triennio 2020-2024 ha visto uscire quasi 2 mila unità (654 solo nell’ultimo anno), acuita da pensionamenti, mobilità demotivante, condizioni di lavoro al limite e investimenti irrisori nel benessere del personale. Appena 37 euro l’anno a testa: simbolo di un’attenzione istituzionale troppo spesso declamata e poco concretizzata.

Il peso delle condizioni di lavoro

A nulla valgono, allora, le promesse roboanti sugli incrementi di organico da parte dei rappresentanti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, se poi, nei fatti, il personale è lasciato solo a mantenere standard elevatissimi in condizioni materiali e psicologiche sempre più logoranti. Si prenda il cosiddetto “Compenso Forfettario di Guardia”: turni di 16/18 ore retribuiti con 2,50 o 3,40 euro lordi. Importi che stridono con la complessità e la responsabilità dei ruoli coperti da specialisti e operatori ordinari, spesso intercambiabili nelle funzioni, sempre eccellenti nei risultati.

Capitale umano spremuto e abbandonato


Nei Circomare/Compamare il capitale umano che dovrebbe essere valorizzato viene invece “spremuto“. Oltre a ciò ogni 10/15 anni si hanno, trasferimenti forzati, perdita di competenze, ripartenze traumatiche: un circolo vizioso che demotiva, usura e spinge molti a lasciare la divisa. Eppure, nonostante tutto, gli uomini e le donne della Guardia Costiera restano. Resistono. Ottengono risultati. Fanno onore al Paese. Lo fanno per senso del dovere, per attaccamento a una missione nobile, per un amore per il mare e per la divisa che non trova corrispettivo nei bilanci dello Stato.

Fedele allo stato ma fino a quando?

Ma fino a quando potrà reggere questa resistenza silenziosa? Quando si passerà dal plauso retorico alle riforme strutturali? Quando sarà il capitale umano a diventare davvero “priorità”?

Eppure, nonostante tutto, la Guardia Costiera continua a operare con disciplina e orgoglio. Un presidio silenzioso, efficiente, insostituibile. Un gioiello dello Stato che, come accade ai beni più preziosi, brilla anche se tenuto nell’ombra. Ma un gioiello, per quanto lucido, non può essere trascurato a lungo senza rischiare di opacizzarsi. Riconoscerne il valore non può più limitarsi a una pacca sulle spalle nelle cerimonie ufficiali o a un trafiletto di elogio nei rapporti istituzionali.

Serve uno sguardo politico più onesto, più lungimirante, che sappia finalmente investire sul capitale umano, prima che si logori del tutto. Perché non c’è onore più grande, per una Repubblica, che prendersi cura di chi ogni giorno ne difende le coste, le leggi, la vita. In silenzio, con la forza della competenza. Con il valore invisibile della vera eccellenza.

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