Forze di Polizia

STUPRO DI RIMINI, I VERBALI DEL TERRORE: VIOLENZE DISUMANE E DOPPIA PENETRAZIONE. I RACCONTI DELLA TURISTA E DEL TRANS

(di Robera Catania) – Sono stati convalidati ieri pomeriggio i fermi dei quattro stranieri finiti in carcere per gli stupri compiuti nella notte tra il 25 e il 26 agosto scorsi a Rimini. Del resto, non poteva essere diversamente. Il gip per il Tribunale dei Minorenni, Anna Filocamo, lo mette nero su bianco nelle tre ordinanze che lasciano in carcere i minori, i due fratelli marocchini di 15 e 17 anni e l’ amico nigeriano di 16: «Dalle dichiarazioni rese dagli indagati in udienza, sono emersi particolari agghiaccianti che attribuiscono ai fatti quasi connotazioni di crudeltà».

Crudeltà non rende l’idea di ciò che è accaduto quella notte. Nelle sette pagine di ognuno dei tre provvedimenti, sono ripercorse le denunce delle vittime, che trovano riscontro nei referti del pronto soccorso, e le ammissioni dei tre minori, che provano a mischiare le carte «sulle indicazioni dei diversi ruoli», ma non negano i fatti aberranti.
La turista polacca di 26 anni riferisce con precisione i particolari della brutale aggressione, raccontando (come riportato a pagina 3 dell’ ordinanza) che mentre si trovava sulla spiaggia di Rimini, seduta su un telo insieme al suo amico, «si materializzava in maniera fulminea davanti a noi un ragazzo che in lingua inglese, non troppo corretta, ci chiedeva “Where are you from?”. Dopo che il mio amico rispondeva “From Poland”, l’ uomo, sempre in inglese, ci ordinava testualmente “Dateci i portafogli e i telefoni”… repentinamente venivamo aggrediti dall’ uomo che avevamo di fronte, che subito colpiva il mio amico al volto, facendolo cadere a terra mentre dall’ oscurità si materializzavano davanti a me prima due persone, poi un terzo, che mi immobilizzavano, buttandomi a terra, poggiandomi di schiena sulla sabbia e colpendomi con più colpi al volto, alla testa e sul corpo… mentre potevo accorgermi che il mio amico era immobilizzato pure lui sulla sabbia con una persona sopra, i tre, tenendomi anche per la gola quasi a strozzarmi, facendomi rimanere senza respiro, mi calavano i pantaloni e poi gli slip. Mentre i due mi tenevano ferma con le gambe aperte, il terzo abusava sessualmente di me, penetrandomi nella vagina, dando poi il cambio agli altri due, che mi penetravano anche loro nella vagina… durante questa interminabile azione, durata secondo me più di venti minuti, e mentre i miei aggressori mi dicevano in inglese “I kill you”, sentivo che il mio amico veniva picchiato brutalmente.

Senza che io potessi in nessun modo reagire, neppure urlando visto che ero stremata, senza forze e impaurita, nonostante fossi cosciente, venivo trascinata dai tre fino in acqua, sulla riva, dove mi gettavano addosso l’ acqua come per lavarmi o per farmi riprendere, probabilmente perché risultavo paralizzata senza di fatto cenni di vita. Dopo essermi agli occhi degli aggressori di fatto ripresa, venivo nuovamente trascinata da questi per circa due-tre metri verso la spiaggia, ad almeno 15 metri dal mio amico, che sentivo ancora lamentarsi. Ancora immobilizzata da almeno due di questi, ancora di schiena sulla sabbia, venivo girata su un fianco e penetrata contemporaneamente da due di questi criminali sia in vagina sia nell’ ano ove mi eiaculavano».

Il gip scrive a pagina 6 del provvedimento che in realtà, dagli interrogatori del nigeriano di 16 anni e del marocchino di 15, emerge che la ragazza era stata trascinata in acqua «perché le sue parti intime erano piene di sabbia e ciò rendeva difficoltosa la penetrazione; infatti, dopo il lavaggio nel mare, gli aggressori hanno ripreso a violentarla più volte». Nessuna pietà, quindi, nessun timore nel vederla in stato catatonico.
Le dichiarazioni del polacco confermano esattamente il racconto della ragazza e specificano: «Sentivo la mia amica chiedere aiuto, dicendo che la stavano uccidendo, e mi rendevo conto che stavano abusando di lei a turno. Tre o quattro che si intercambiavano tra loro nell’ abusare di lei e nell’ immobilizzare lei». Mentre «ero immobilizzato a terra, tenuto da due persone con il viso sulla sabbia, venivo perquisito alla ricerca di telefono e portafogli, e colpito ripetutamente con calci in tutte le parti del corpo e pure al capo con una bottiglia di vetro». E quando il polacco ha detto di soffrire d’ asma, «manifestavo sofferenza respiratoria e vomitavo, mi hanno detto che potevo bere solo l’ acqua di mare».

Terribile anche la ricostruzione della transessuale peruviana: «Uno dei ragazzi neri mi ha preso per i capelli, trascinandomi con forza oltre via Flaminia, dove vi erano cespugli rigogliosi. Io cercavo di oppormi (…) uno mi colpiva alla testa con una bottigliata, mentre il secondo mi sferrava un pugno allo zigomo». Nell’ordinanza di convalida del 20enne congolese, la trans attribuisce a Guerlin Butungu il primo pensante approccio: «Tu chi cazzo sei, uomo o donna? Tu che hai, la figa o il cazzo?», mettendogli una mano sulla vagina, le urlava: «Se c’hai il cazzo ti ammazziamo». La prostituta aveva quindi raccontato che, minacciata di morte, «rimanevo in piedi, mentre tre mi tenevano stretta e uno mi violentava, per poi darsi il cambio con il secondo giovane.

Poi mi sdraiavano a pancia in su e anche qui venivo violentata dagli altri due giovani. Non contenti, i primi due che mi avevano violentata, ricominciavano a turno a violentarmi, eiaculandomi senza preservativo nella vagina».

Nelle loro parti intime, la trans si accorge che c’è della sabbia. Ma la vera prova che la gang sia la stessa che ha aggredito i polacchi è che sulla Statale, dietro quei cespugli, la banda lascia la telecamera e l’orologio rapinati al ragazzo.

Il gip Vinicio Cantarini non crede alla versione data ieri dal 20enne, che ha sostenuto di avere tenuto fermo il polacco mentre i tre minori abusavano della ragazza e di essersi avvicinato alla trans pattuendo una prestazione per 30 euro, che poi lei ha rilanciato a 50, scatenando la furia del branco. Il gip ha convalidato il fermo di Butungu sostenendo che «non solo» il congolese «partecipò alla violenza sessuale di gruppo, ma fu lui a scatenare il branco, a dirigere la brutale aggressione e a “impadronirsi” per primo del corpo delle giovani donne».

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