Carabinieri

STRAGE A LATINA, IN PASSATO PROBLEMI DISCIPLINARI E TRASFERIMENTO PER L’APPUNTATO CAPASSO

La collina dei Pini, alle porte di Cisterna di Latina, nel Basso Lazio, ha il volto della normalità. Appartamenti con balcone, il garage sotto casa, qualche negozietto. Lo shopping a meno di un chilometro, dove le famiglie passano la domenica. Ieri, alle cinque e mezza del mattino, Antonietta Gargiulo, 38 anni, operaia della Findus, stava per salire sulla sua automobile per andare in fabbrica. Le due figlie, 7 e 13 anni, ancora dormivano.

Un primo sparo, alla schiena. È riuscita a fare pochi passi, quando davanti a sé ha visto Luigi Capasso, con la pistola in mano. Altri due colpi e finisce a terra. È solo l’inizio di una strage, terminata con due bambine morte, un suicidio e la donna ricoverata al San Camillo di Roma, in prognosi riservata, tenuta in sedazione profonda.

La violenta follia dell’uomo ha una data d’inizio. È il 4 settembre, sei mesi fa. Via Appia, pochi chilometri da Latina. Davanti alla Findus, lo stabilimento dove lavora Antonietta Gargiulo, la donna rimasta ferita da tre colpi di pistola sparati dal marito, sta fumando una sigaretta in compagnia dei colleghi, quando l’appuntato scelto dei carabinieri Luigi Capasso arriva già alterato. Va davanti ad Antonietta, la moglie, l’aggredisce di fronte ai colleghi. La strattona, la umilia, tanto che gli altri operai intervengono. “È stato quello il momento della fine del rapporto – racconta l’avvocato Maria Belli, che assiste la donna – Da quel giorno si sono allontanati”. Antonietta si presenta al commissariato di Cisterna di Latina, il Comune dove vivevano, presenta un esposto sul fatto: “Non una denuncia – spiega il legale – perché non voleva danneggiare il marito, che già aveva avuto problemi disciplinari in passato”.

Da quel 4 settembre il carabiniere non rientrerà più a casa. Prende un alloggio di servizio nella caserma dell’Arma a Velletri, dove era arrivato dopo il trasferimento da Aprilia. “Dopo quell’esposto Luigi Capasso era stato chiamato dal commissariato – spiegano dalla Questura di Latina –e redarguito. Lui aveva assicurato che era sua intenzione cercare di ricostruire il rapporto con la moglie. Una storia classica, ne vediamo tantissime ogni giorno”. Quando Antonietta viene chiamata lo scorso gennaio per un contro-esposto del marito, fa mettere a verbale i suoi timori: “Ho paura, non lo voglio vedere”, racconta l’avvocato Belli. “Sembrava una storia ordinaria”, ripetono in commissariato a Latina. Una coppia che litiga, esposti incrociati, accuse reciproche: i cadaveri del carabiniere Luigi Capasso e delle due sue figlie sono ancora nell’appartamento dove l’uomo si era asserragliato con in mano la sua pistola d’ordinanza, dopo aver ferito gravemente la moglie, Antonietta Gargiulo. Quando tutto è finito nel peggiore dei modi, la storia inizia a scorrere all’indietro.

Quei primi colpi sparati poco prima dell’alba, per l’appuntato scelto Gargiulo erano solo l’inizio. Non si ferma a soccorrere la donna, le prende la borsa, cerca le chiavi dell’appartamento da dove era stato allontanato lo scorso anno.

Sale i due piani della palazzina, entra e va verso le figlie. Non agisce subito. Alle 6, una mezzora dopo, la vicina di casa sentirà altri colpi. Spara tre volte, forse quattro, colpisce le due bambine, uccidendole. Poi aspetta. È un carabiniere e sa che i colleghi non tarderanno. Conosce le procedure, è preparato. Alle sette –raccontano i testimoni –i militari della compagnia di Latina arrivano, bloccano le uscite, chiudono il gas della palazzina. Sul posto si presentano i negoziatori dell’Arma dei carabinieri, militari specializzati nel trattare con terroristi o rapitori, che entrano in scena. Questa volta è diverso. Questa volta hanno davanti un collega. I volti sono tesi, e quando arriva il Gis, il reparto di stanza a Livorno, si capisce che questa mattinata sarà lunga, sofferta.

C’è un dettaglio che subito preoccupa: “Non sentiamo le voci delle bambine, da quando siamo arrivati non le abbiamo mai ascoltate”, spiegano gli ufficiali. “Temiamo il peggio”, aggiunge con il volto teso il colonnello Gabriele Vitagliano, comandante provinciale dei carabinieri di Latina. L’appuntato scelto Luigi Capasso è sul balcone. Appare confuso, parla con i negoziatori. Fino alle 13, quando rientra nell’appartamento. Nessuno lo sente più, lo chiamano, ma non risponde. Dopo un’ora, lunghissima, scatta il blitz.

Tre i cadaveri trovati al l’interno dell’appartamento: le due bambine, morte probabilmente da ore, e il corpo di Luigi Capasso, morto suicida con uno degli ultimi colpi rimasti nella sua pistola d’ordinanza.


La fine tragica era nell’aria. I tanti abitanti del posto sussurrano i loro timori, appartati sui lati della strada, abbassando lo sguardo. Poco prima dell’annuncio del blitz e del ritrovamento dei tre cadaveri, un uomo anziano entra dal fornaio, piange: “Sono morte, ha ucciso le bambine”. Nessuno sembrava credere a una fine differente. Quando i militari del Gis avevano già smobilitato le squadre, un maggiore dei carabinieri accompagna una donna anziana, forse la madre della donna, verso un’automobile. È una scena surreale: l’ufficiale con il corpo a proteggere il pianto disperato della signora, mentre una trentina di telecamere circondavano i due. Il volto del militare diventa duro come la pietra, con la rabbia e il dolore a malapena trattenuto.

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