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SALVINI LICENZIA DUE CAPI DEI SERVIZI SEGRETI

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha deciso di licenziare due degli uomini al vertice dei servizi segreti: Alessandro Pansa, cioè il capo del Dis, il coordinamento dell’i ntelligence, e Alberto Manenti, che oggi guida l’Aise, il servizio estero. A giugno il governo Conte ha confermato per un secondo mandato di due anni, non rinnovabile, Mario Parente a capo dell’Aisi, l’intelligence interna.

È una rivoluzione attesa, ma non scontata: subito dopo le elezioni, a marzo, il governo Gentiloni aveva prorogato Pansa e Manenti per un periodo fino a dodici mesi. Entrambi erano in scadenza in primavera. Il compromesso con la nuova maggioranza Lega-M5S, che allora non aveva ancora formato l’esecutivo, prevedeva che, appena ci fosse stato un governo con pieni poteri, Chigi avrebbe potuto avvicendare i capi dell’intelligence.

La speranza del Quirinale di Sergio Mattarella era che ci fosse il massimo della continuità: sia per evitare vuoti di potere in un campo così delicato, sia per non dare l’impressione che i nuovi arrivati avessero troppa fretta di occupare tutte le poltrone, incluse quelle politicamente delicate della sicurezza.

SALVINI ha indugiato un paio di mesi, e basta. Invece di aspettare la scadenza naturale di aprile 2019, dopo l’estate congederà sia Pansa che Manenti. Non ci sono state rotture esplicite, ma il ministro vuole dare un segnale di cambiamento anche sull’intelligence. Come da rituali interni, Manenti si sta preparando a comunicarlo alla sua struttura prima che arrivi l’informazione ufficiale.

Pansa si era preparato una exit strategy: la fondazione per la cybersecurity, snodo tra gli apparati pubblici della sicurezza e le aziende private, ma la legge istitutiva non è mai passata. Come tutti quelli che hanno scommesso sul settore – vedi l’amico di Renzi, Marco Carrai – è rimasto con una vana speranza.

Da prefetto ed ex capo della polizia, a 67 anni, può ambire a un futuro al Consiglio di Stato, tappa prestigiosa di molti funzionari di alto livello prima della pensione (lo stesso percorso di un altro uomo di intelligence, il discusso Nicolò Pollari). Più difficile ricollocarsi per Manenti, 65 anni, militare di carriera con quasi 40 anni di attività nei servizi. In questi anni ha maturato competenze sul settore cruciale dell’immigrazione, in particolare della Libia, improbabile resti disoccupato.

SONO IN CORSO le manovre per la successione. Al Dis potrebbe andare Elisabetta Belloni, segretario generale del ministero degli Esteri da tempo accreditata per un passaggio dal lato intelligence, sarebbe sicuramente più gradita a Mattarella che un profilo di marca leghista.

All’Aise ci sono vari vicedirettori: Fabrizio Caputo, nominato a fine 2017 dal governo Gentiloni, viene dalla Guardia di Finanza e non è papabile; Luciano Carta, altro finanziere, punta al comando generale delle Fiamme gialle quando scadrà il mandato di Giorgio Toschi.

Resta il generale Giovanni Caravelli, vice direttore dell’Aise dal 2014. Ha tre punti di forza, ha seguito in prima persona la Libia su mandato di Manenti, gode della stima di Matteo Salvini e di Elisabetta Trenta, ministro della Difesa. Caravelli e la Trenta si sono conosciuti quando quest’ultima era capitano della riserva (l’inquadramento temporaneo di alcuni civili nelle forze armate).

SALVINI PERÒ potrebbe anche non optare per la promozione di Caravelli, e lasciarlo a presidiare la questione libica, indicando alla testa dell’Aise un altro uomo di fiducia. Non ci sono automatismi: la delega ai rapporti con l’intelligence l’ha tenuta il premier Giuseppe Conte, anche se è Salvini a muoversi in piena autonomia nel campo dei servizi con un moderato raccordo col sottosegretario a palazzo Chigi, Giancarlo Giorgetti. Il Consiglio dei ministri può anche revocare i vicedirettori e quindi ha l’occasione di rimescolare un po’ di caselle: rischia il posto per esempio Valerio Blengini, vice dell’Aisi. Blengini è stato ascoltato come persona informata dei fatti (non indagato) sull’ex capo di Confindustria Sicilia Antonello Montante: secondo un’informativa degli investigatori, Blengini avrebbe cercato di avere informazioni su un co-indagato di Montante tramite il questore di Caltanissetta, di cui era amico da tempo. Blengini, già capo centro dell’Aisi a Firenze, paga anche l’etichetta di antico renziano,dunque poco gradito alla nuova maggioranza.

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