Polizia Penitenziaria

POLIZIOTTO OMICIDA-SUICIDA NEL CARCERE DI TORINO: MINISTERO RESPONSABILE PER COMPORTAMENTO DEL COMANDANTE, UN MILIONE DI EURO DI RISARCIMENTO

Costretti a lavorare in un ambiente intossicato da veleni e rancori professionali. Per molti anni gli agenti della Polizia Penitenziaria del carcere Lorusso e Cutugno sono stati costretti a lavorare in una situazione di grave malessere, spesso sottoposti a provvedimenti disciplinari ingiustificati, vittima talvolta anche dei detenuti, utilizzati per colpirli.

In questo clima di malessere, colposamente sottovalutato «da chi aveva il potere e dovere di intervenire per assicurare un ambiente lavorativo il più possibile sereno», è germogliata la collera omicida dell’assistente capo Giuseppe Capitano nei confronti dell’ispettore capo Giampaolo Melis. La mattina del 17 dicembre 2013, Capitano sparò due colpi di pistola al collega e poi si suicidò. Per questa tragedia il ministero della Giustizia dovrà risarcire complessivamente circa un milione di euro alla moglie, al figlio e ai familiari dell’ispettore Melis. Così ha deciso il giudice Anna Castellino, della IV sezione civile, nella sentenza depositata venerdì scorso.

IN AULA  

Il processo civile, promosso dai familiari assistiti dagli avvocati Paolo Romagnoli ed Eugenio Durando, nasce dai riscontri fatti dalla procura in seguito all’omicidio-suicidio. Nell’inchiesta, archiviata inevitabilmente per la morte dell’autore, era stato coinvolto anche il comandate del corpo Gianluca Colella, indagato per maltrattamenti. Anche le sue accuse, alla fine, erano state archiviate. Ma dagli atti dell’indagine erano emersi profili di responsabilità di una certa gravità, tanto da considerare Capitano, convinto a torto di essere al centro di un’azione disciplinare, a sua volta «vittima» di un clima di vessazioni instaurato dal comandate Colella. Clima implicitamente riconosciuto dall’amministrazione penitenziaria con la sua rimozione dopo la tragedia, trasferito per «incompatibilità ambientale».

Da questi elementi è scaturita l’azione civile. Il giudice, nel ripercorre il crescendo di tensione sfociato nell’omicidio-suicidio, ha ritenuto il ministero della Giustizia responsabile di quel dramma lavorativo, per la condotta di un proprio dipendente verso un altro collega, a causa del difficile contesto ambientale. «Nonostante le plurime reiterate ed accorate denunce in più sedi – scrive il giudice – la situazione di grave malessere è stata colposamente sottovalutata da chi aveva il potere e dovere di intervenire per assicurare un ambiente lavorativo il più possibile sereno nello svolgimento di importante e delicate funzioni degli agenti di Polizia Penitenziaria».

E la colpa del ministero sta nel fatto che fosse al corrente della situazione. Lo dimostrano le comunicazioni, quasi profetiche, inviate dal sindacato già nel 2010: «La tensione e il timore sono altissimi e devastanti: in istituto aleggia un clima di risentimento e rancore, tanto che si teme possa accadere qualcosa di davvero grave». In un’altra lettera , sempre del 2010, il sindacato aveva evidenziato l’inadeguatezza del comandante, chiedendone la sostituzione. Richiesta mai presa in considerazione.

I GIUDICI  

La sentenza, però, poggia anche sulle conclusioni dell’attività ispettiva disposta dal ministero e depositata nel giugno 2014. Relazione che ha il peso di un macigno: indica il comandate responsabile del clima di terrore e di alta tensione generato in carcere. Nel 2015 Colella è stato sottoposto a procedimento disciplinare e condannato ad una pena pecuniaria per «incapacità di sovraintendere in modo urbano alle attività di comando e di assumere con equilibrio e buon senso le responsabilità connesse al ruolo». Per questi motivi, osserva il giudice «sussistono i presupposti per la responsabilità del ministero per l’illecito commesso per mano del dipendente Capitano».

lastampa.it

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