Politica

Migranti: cos'è la protezione speciale e perché il governo vuole abolirla

Due emendamenti al Decreto Cutro, proposti dal governo Meloni, stanno accendendo il confronto tra maggioranza e opposizione. In caso di approvazione ci sarebbero importanti cambiamenti nell’accoglienza e nella protezione speciale per i migranti in Italia. Facciamo il punto.

Il mondo della politica continua a discutere sui migranti. A innescare il dibattito è il cosiddetto Decreto Cutro, proposto dal governo Meloni per introdurre pene più severe per i reati collegati all’immigrazione irregolare in seguito al naufragio che si è verificato lo scorso febbraio al largo delle coste calabresi. In Italia, secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno, nei primi mesi di quest’anno si sono registrati oltre 34mila sbarchi: si tratta di più del triplo di quelli registrati nello stesso periodo dello scorso anno.

All’interno del decreto sono presenti due emendamenti proposti dallo stesso governo che stanno dividendo gli schieramenti politici. Il primo propone di modificare il funzionamento dei centri di prima accoglienza, mentre il secondo vuole invece introdurre delle limitazioni alla cosiddetta “protezione speciale”, un particolare tipo di protezione che viene riconosciuta dalla legge italiana alle persone migranti. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta e quante persone riguarda nel nostro Paese.

Cos’è la protezione speciale

La “protezione speciale” è uno dei tre tipi di permesso di soggiorno destinati a persone straniere che arrivano nel nostro Paese e fanno richiesta di protezione internazionale. Una volta presentata, la domanda viene esaminata da una Commissione territoriale. La prima possibilità è la richiesta di asilo politico, che si applica ai “rifugiati”, cioè alle persone che nel proprio Paese di origine potrebbero subire una persecuzione personale, ad esempio a causa della propria razza, religione o delle proprie opinioni politiche.

La seconda forma, la protezione sussidiaria, si rivolge invece alle persone che, dopo un eventuale rimpatrio, corrono il rischio di subire un danno grave, come ad esempio la tortura, o di trovarsi in situazioni di pericolo causate da conflitti armati.

C’è infine, come terza opzione, proprio la protezione speciale: si applica alle persone che non corrono il rischio di persecuzione o di danno grave, ma per le quali bisogna valutare se esistano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”, che ne impediscono l’espulsione.

L’attuale normativa si basa sul primo decreto Salvini, presentato nel 2018, che ha abolito la protezione per “motivi umanitari”, ma ha introdotto la possibilità di concedere dei permessi di soggiorno speciali per motivi particolari, come ad esempio per le persone vittime di violenza domestica.

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Da dove arriva la protezione speciale

Originariamente, la protezione speciale si chiamava ‘protezione umanitaria’: introdotta nel 1993 dopo la ratifica degli accordi di Schengen sulla libera circolazione, venne inserita nel Testo unico sull’immigrazione del 1998.

La protezione umanitaria, tuttavia, viene abolita nel 2018 dai decreti Salvini, che la sostituiscono con la protezione speciale e introducono dei requisiti talmente stringenti da abolirla di fatto.

Le cose cambiano ulteriormente alla fine del 2020: il secondo governo Conte e l’allora ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, introducono permessi di soggiorno per la protezione speciale anche per calamità naturali speciali e cure mediche, introducendo inoltre la possibilità di convertirli in permessi di soggiorno per motivi di lavoro della durata di due anni. In caso di approvazione degli emendamenti della maggioranza, sarebbero proprio questi due punti a essere eliminati.

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I numeri della protezione speciale in Italia e in Europa

L’anno scorso nel nostro Paese hanno ottenuto la protezione speciale 10.865 persone. Sono state invece 6.161 quelle che hanno ottenuto l’asilo politico e 6.770 quelle a cui è stata riconosciuta la protezione sussidiaria. Complessivamente, le domande relative a tutte e tre le forme di protezione internazionale sono state 52.625, di cui più della metà (53 per cento) è stata rifiutata. Quest’anno, finora, le commissioni territoriali hanno concesso circa 3.800 permessi, pari a circa il 20 per cento di tutte le decisioni.

Anche se secondo la presidente del Consiglio Meloni la protezione speciale è “una protezione ulteriore rispetto a quello che accade nel resto d’Europa”, in realtà misure complementari rispetto alle norme internazionali esistono in 18 dei 27 Paesi dell’Unione europea. Non solo: secondo Eurostat, l’ufficio statistico dell’Ue, l’anno scorso la Spagna ha concesso ai migranti circa 21mila protezioni di questo tipo, mentre la Germania più di 30mila.

Cosa potrebbe cambiare

In caso di approvazione dei due emendamenti, non ci sarebbe più la possibilità di convertire automaticamente la protezione speciale in permessi di soggiorno per motivi di lavoro.

Ottenere la protezione speciale per cure mediche o per calamità naturali diventerebbe, inoltre, molto più difficile. In particolare, gli emendamenti prevedono che possano accedere a questa forme di protezione solo persone che presentino “condizioni di salute derivanti da patologie di particolare gravità, non adeguatamente curabili nel Paese di origine” o che siano vittime di calamità “contingenti ed eccezionali”. In entrambi i casi, si otterrebbe un permesso di sei mesi, non rinnovabile ma prolungabile di altri sei mesi.

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