Carabinieri

Inseguimento a 200 all’ora, il carabiniere spara e finisce in tribunale: ora l’appello lo assolve

Un altro intervento, uno di quelli che cominciano come routine ma che sai già potrebbe finire male. Una pattuglia in strada, la notte, la radio che gracchia, un’auto sospetta che non si ferma all’alt. Cuore in gola, piede sull’acceleratore, cervello che corre più della macchina: pensi a tutto, anche al peggio, anche al tribunale. Come è successo in questo caso, dove chi avrebbe dovuto ricevere una medaglia ha invece dovuto difendersi in aula per aver fatto il suo lavoro.

È così che, sulle strade statali calabresi, parte un inseguimento a 200 all’ora. A bordo della gazzella dei carabinieri, un vicebrigadiere, 48 anni, in servizio al Radiomobile di Sellia Marina, che non si aspettava certo di finire sul banco degli imputati. Ma in Italia, si sa, a volte fermarsi un attimo prima di agire può sembrare più sicuro che fare il proprio dovere.

Una fuga da film e un colpo che cambia tutto

Era l’aprile del 2020. Durante un controllo notturno, il giovane alla guida, oggi trentunenne, non si ferma all’alt dei carabinieri, ma accelera, dando inizio a un inseguimento da cardiopalma lungo le strade statali calabresi. Quando finalmente l’auto si arresta, uno dei due militari scende per avvicinarsi. È allora che il conducente tenta una manovra disperata, cercando di investire il carabiniere per riprendere la sua corsa. La reazione del militare è rapida: impugna l’M/12, la mitraglietta d’ordinanza, e spara. Una raffica colpisce l’auto, e un proiettile trapassa la lamiera, raggiungendo l’arto inferiore del fuggitivo, provocandogli una lesione giudicata guaribile in 30 giorni.

Processi, assoluzioni e riduzioni di pena

L’episodio si trasforma in un processo. Il vicebrigadiere finisce sul banco degli imputati per lesioni personali, ma nel dicembre 2022 il Tribunale di Crotone lo assolve: il fatto non costituisce reato, perché l’azione è riconosciuta come legittima difesa. Il giudice condivide la tesi della difesa: in quel contesto, il militare non poteva agire diversamente.

Il conducente, invece, viene condannato a 1 anno e 6 mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale e guida sotto l’effetto di stupefacenti. Ma la battaglia legale non finisce lì. L’imputato ricorre in appello, chiedendo la condanna del carabiniere e un risarcimento danni. A sorpresa, si unisce alla causa anche il Ministero della Difesa, costituitosi in giudizio contro la richiesta del conducente.

Il verdetto della Corte d’Appello di Catanzaro

La Corte d’Appello di Catanzaro si è pronunciata oggi, ponendo fine (almeno per ora) alla lunga vicenda: condanna ridotta a 8 mesi per il giovane, ma solo per resistenza a pubblico ufficiale, con assoluzione piena dall’accusa di guida sotto effetto di droghe. Nessuna condanna, invece, per il carabiniere. La Corte rigetta la richiesta di risarcimento, confermando quanto stabilito in primo grado.

Una sentenza che rafforza il principio secondo cui la legittima difesa resta uno strumento di tutela anche per le forze dell’ordine, quando la situazione degenera e la vita è messa a rischio. E che riporta l’attenzione su un tema spinoso: fino a dove può spingersi un agente per fermare una minaccia?

Certo! Ecco la nuova conclusione rivista in tono pungente, accattivante e fedele ai fatti:

Un carabiniere sotto processo per aver fatto il proprio dovere

Mentre il trentunenne fuggitivo vede ridursi la pena e si salva dall’accusa di guida sotto stupefacenti, il vicebrigadiere A.D., sempre rimasto in servizio e mai sospeso, ha dovuto difendersi in un’aula di tribunale per aver tentato di fermare un’auto lanciata a 200 all’ora, con dentro un uomo che ha cercato di investirlo.

Il paradosso? In Italia può capitare che un rappresentante delle forze dell’ordine finisca imputato per non essere rimasto immobile mentre un’auto gli piomba addosso. Un verdetto, quello della Corte d’Appello, che restituisce dignità al ruolo del carabiniere, ma che lascia l’amaro in bocca: perché chi tutela chi ci tutela, quando si ha più paura delle aule di giustizia che dei criminali?

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