Carabinieri

“IL BLINDATO BRUCIAVA E PENSAVO A MIO FIGLIO”

«Poi mi sono accorto del fumo; lo vedevo con la coda dell’occhio venire dai sedili posteriori del blindato e ho avuto paura: in quell’attimo mi è venuto in mente mio figlio». Ha la voce ferma Fabio Tartaglione (il carabiniere rimasto ferito durante gli scontri con gli “indignados” a ottobre 2011) mentre racconta ai giudici i momenti terribili dell’assalto al mezzo in una piazza San Giovanni presa d’assedio. Tartaglione era solo quando un gruppo di manifestanti attaccò il mezzo di servizio che stava guidando, e il suo ricordo è lucido e drammatico: «Per prima cosa hanno distrutto gli specchietti del mezzo, ostruendomi la visuale alle spalle. Bombardavano il furgone, sentivo colpi alle nostre spalle e vedevo le pietre spaccarsi sulle griglie che proteggono i vetri del mezzo».

Ma le pietre e i san pietrini sono solo il primo step di questo vero e proprio assalto. Diminuita la sassaiola infatti, il gruppo di teppisti si arma di spranghe di legno e si avventa sul furgone dei carabinieri: «Hanno provato una prima volta ad aprire il portellone laterale – ha raccontato ancora Tartaglione – io ero alla guida e provai a farlo richiudere muovendomi in retromarcia ma a terra era pieno di transenne e pietre e pali divelti: ero completamente bloccato e non riuscivo a muovere il furgone. Mentre ero fermo altri aprirono ancora la portiera iniziando a tirarmi addosso di tutto: ho parato una pietra con il braccio. Subito dopo sono stato colpito al viso con un bastone».

Succede tutto in pochissimo tempo, poi (rievoca ancora il carabiniere che uscì da quella giornata con il naso fratturato, una lesione muscolare alla gamba e una prognosi di sei mesi) le cose precipitano, con le fiamme che iniziano a farsi largo sul mezzo. «Poi mi sono accorto del fumo; lo vedevo con la coda dell’occhio venire dai sedili posteriori del blindato e ho avuto paura: in quell’attimo mi è venuto in mente mio figlio e ho pensato che avrei potuto non vederlo mai più. Mi sentivo con le spalle al muro – ha spiegato – anche perché la folla continuava la sassaiola anche quando dal mezzo saliva il fumo. Mi sono fatto forza e sono uscito correndo a testa bassa: hanno continuato a colpirmi. Mi hanno fermato dei colleghi che tentavano di tranquillizzarmi.

Io ero confuso, ricordo che non c’erano ambulanze e mi portarono al commissariato per le prime cure a bordo di un’auto della polizia». Un assalto che ha preso forma nel cuore della Capitale e che avrebbe potuto avere strascichi ancora più drammatici. Un incubo a occhi aperti per il quale il carabiniere si è visto riconoscere ieri dai giudici della nona sezione penale un risarcimento di 50 mila euro. Ma il ricordo di quella giornata tremenda è lucido in tanti degli appartenenti alle forze dell’ordine che operavano sul campo: «Quel giorno davanti a noi si è materializzato l’inferno. Quando ci ripenso mi vengono le lacrime agli occhi, e dire che di cortei ne ho fatti parecchi durante la mia carriera». Il racconto di uno dei tanti carabinieri in servizio tra gli “indignados”, il 15 ottobre 2011, è in forma anonima per tutelare l’identità di uno dei tanti militari presi di mira dai manifestanti e feriti a bastonate e sassate. «Ricordo che raggiungere il fulcro della protesta da via Carlo Felice, dove ci trovavamo, fu una vera e propria discesa agli inferi – spiega -.

Via via che avanzavamo di fronte a noi c’era solo fumo, poi le fiamme, le macchine e i cassonetti incendiati. L’aria era pesante, era chiaro a tutti che quello non era un corteo normale. C’è stato un momento in particolare in cui si è capito che l’atmosfera stava cambiando in modo irreparabile: mentre quelli che volevano far casino iniziavano a preparare il terreno di battaglia, mettendosi i fazzoletti davanti alla bocca, gli altri arrivati con la reale intenzione di manifestare con le famiglie al seguito, ci imploravano di aprirgli le vie di fuga per lasciare il corteo e mettersi in salvo. La situazione stava degenerando e noi eravamo nel bel mezzo della guerriglia. Ricordo ancora i colleghi concitati alla radio e quelli che in strada si guardavano in faccia chiedendosi come aiutare chi era in balia della sassaiola».

Da lì a poco, infatti, il blindato con a bordo Fabio Tartaglione avrebbe preso fuoco. Il militare, operato cinque volte dopo esser stato ferito con una bastonata al volto, venne poi raggiunto da una pioggia di sassi e refertato con 60 giorni di prognosi. «Noi mettiamo in conto la possibilità di farci male – conclude il carabiniere -, ma provo rabbia nel pensare che alla fine dobbiamo passare noi per i cattivi della situazione». «Tartaglione e gli altri colleghi con lui quel giorno sono vittime del dovere – commenta Giuseppe La Fortuna, rappresentante Cocer Carabinieri -. è indegno dover sentire strillare”vergogna” nei confronti delle forze dell’ordine. Ci sono carabinieri che hanno subito prognosi lunghissime per fare il loro lavoro e meritano rispetto».

Vincenzo Imperitura e Silvia Mancinelli per il Tempo.it

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