Carabinieri

“Ecco perché le manette intorno ai polsi di Messina Denaro non servivano”

“L’assenza di manette in questo arresto? Io ho visto un giovane appuntato e un maresciallo, tutti e due in divisa, a volto scoperto, portare fuori il boss. Dietro di loro, un carabiniere in mimetica verde del Gis. Cosa racconta questa scena? Racconta lo Stato che non ha paura, che ha vinto e non ha bisogno di manette, di schiavettoni per arrestare un criminale, perché lo Stato di diritto non ha bisogno della violenza per imporre la propria forza. Questo è il film della cattura di Matteo Messina Denaro che ho visto. Altro che patto col boss che per evitare le manette, follia. È il boss che si è arreso allo Stato perché è stato sconfitto”. A parlare è Claudio Camarca, regista e scrittore romano, che da anni vive insieme ai reparti speciali dell’Arma per raccontarne le imprese, nelle grotte dell’Aspromonte con i Cacciatori di Calabria, in Sicilia, ma anche ‘embedded’ alle stazioni più esposte nei quartieri difficili delle città.

“Devi avere pazienza, devi saper osservare, conoscere ogni dettaglio dei luoghi, delle strade, delle persone che abitano locali, bar, strade. Devi stabilire col territorio legami di fiducia che ti consentano di unire i puntini di un’indagine. Ieri alla fine sono intervenuti gli uomini del Gis per la cattura finale. Ma lo stesso Ros, il Gis concludono operazioni che per mesi, anni, carabinieri semplici, nelle stazioni, nelle strade hanno contribuito a istruire con i loro piccoli contatti, le loro porzioni di notizie che messe tutte insieme producono elementi, certezze, conoscenza vera dei luoghi dei superlatitanti”, spiega.

Parliamo di un lavoro di squadra che “ha coinvolto, ma coinvolge sempre, non solo in questo caso, centinaia, migliaia di uomini. Questa e’ la forza dell’Arma, il sistema, il metodo. Mi fanno ridere quelli che parlano di patto col boss, perche’ hanno assistito dal divano a una operazione che è sembrata semplice. Matteo Messina Denaro ha ucciso e fatto uccidere anche tanti carabinieri, chi parla di accordo sulla consegna non conosce la motivazione, la concentrazione dei militari che volevano fare giustizia di tutto quel sangue sparso, militari che avrebbero dato la vita pur di riuscirci, e molti l’hanno data”.

Claudio Camarca negli ultimi anni ha potuto condividere lunghi periodi di convivenza con i carabinieri proprio per girare gli episodi di Avamposti. “Io li conosco uno per uno, gli uomini e le donne che hanno catturato Matteo Messina Denaro. I carabinieri nascosti nei passamontagna, gli occhi spalancati attraverso la maglia, le voci artefatte dalla stoffa. Ragazzi dei corpi speciali in tenuta nera, i guanti a mezze dita, la pistola incastrata nella cinta dei pantaloni. Ho vissuto gli appostamenti dietro l’angolo all’interno della “balena” parcheggiata per trentasei ore di fila, senza uscire per andare in bagno o prendere una boccata d’aria”.

È sua la firma di ‘Avamposti – dispacci dal confine”, una docu-serie in onda su Discovery e su Canale Nove, giunta quest’anno alla terza edizione (il primo episodio è andato in onda sabato 14 gennaio). “L’arma letale che ha consentito ai carabinieri di arrestare il superboss è stata la scientifica, meticolosa conoscenza del territorio. È questo il metodo Dalla Chiesa di cui parlava ieri il comandante Luzi”, spiega Camarca all’AGI. A Palermo “si sono soltanto uniti i puntini. Le informazioni messe insieme dai carabinieri sono state più solide dei depistaggi e delle coperture allestite dalle centinaia di fiancheggiatori del boss. Tutto qui. Non esiste un film invisibile, un livello superiore, una trattativa. Questo ho visto da dentro in questi anni di lavoro con loro, questo ho visto in televisione”.

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