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DALLE ‘STELLETTE’ ALLE STALLE

(di Alessandro Di Giusto) – Chi si ricorda di ‘Soldati – 365 giorni all’alba’,
il film di Marco Risi ambientato a Pontebba nel quale si raccontava il servizio
militare obbligatorio?  La pellicola fu proiettata nel 1987, due anni
prima della caduta del Muro di Berlino. Allora il Friuli Venezia Giulia era la
‘caserma d’Italia’.

Attorno ai soldati gravitava una fiorente economia fatta di
commercio, ristorazione e intrattenimento. Appena due anni dopo, nel 1989, la
caduta del Muro ha spazzato via decenni di Guerra fredda retrocedendo la
regione da baluardo difensivo della nazione a semplice terra di confine.
Nell’arco di un decennio hanno chiuso buona parte delle caserme, la leva
obbligatoria ha ceduto il passo all’esercito professionale e, come ciliegina
sulla torta, sono spariti anche i confini.
Nel corso degli Anni ’90 hanno chiuso i battenti le caserme e le strutture
militari presenti in quasi ogni Comune, le famiglie dei graduati se ne sono
andate ed è cominciata la moria delle piccole attività, che fino ad allora
avevano contato su un’utenza pari o superiore a quella dei residenti. Oltre
alle serrande abbassate, di quegli anni restano le decine di caserme e immobili
in stato di abbandono, mentre interi paesi cercano ancora di risollevarsi dalla
batosta, sebbene con alterne fortune.

Valanga in montagna
E’ per esempio il caso della capitale della Val Canale. A Tarvisio in due
grandi caserme erano ospitate truppe alpine. La ‘Italia’ fu chiusa nel 
1994. Appena tre anni dopo fu la volta della ‘La Marmora’. “Come per incanto –
ci spiega il sindaco Renato Carlantoni – sparirono oltre 500 militari di leva,
con i graduati e le loro famiglie, all’incirca mille persone. Se pensiamo che
la popolazione complessiva di Tarvisio era di poco inferiore ai 7mila abitanti,
allora è facile immaginare cosa accadde quando se ne andò oltre un sesto dei
residenti. Poi arrivò la caduta dei confini e se ne andarono anche finanzieri,
poliziotti, carabinieri. Oggi Tarvisio sfiora a mala pena i 4.500 abitanti.
Caserme e abitazioni dei militari sono vuote e la nostra economia ha retto solo
grazie al fatto di essere una cittadina di confine a vocazione turistica, ma le
conseguenze le stiamo pagando care proprio oggi”.


A Pontebba è andata pure peggio. Nei momenti migliori i soldati stanziati nel
centro della Val Canale un tempo diviso tra Regno d’Italia e Impero asburgico
erano un migliaio, cifra di poco inferiore a quella dei residenti che pure
aveva subito negli anni del dopo guerra un costante decremento. “Le tre
caserme, che si estendevano su una superficie di oltre 85mila metri quadrati, hanno
chiuso e l’economia gravitante attorno al confine, in particolar il centro
doganale – ricorda il vicensindaco Sergio Buzzi – si è dissolta lasciandoci
come un pugile che ha preso dei pugni micidiali, con un crollo demografico
drammatico, visto che siamo passati dai 2.500 residenti del 1981 ad appena
1.400, almeno la metà dei quali ha oltre i 50 anni di età. E’ come se a Osoppo
chiudessero all’improvviso la Pittini e la Fantoni, tanto per dare un’idea di
cosa è accaduto. Oggi tra caserme e ferrovie è dismesso quasi metà del paese,
incluse le case Patter e i condomini un tempo abitati dai famigliari dei
graduati. Le caserme sono ora di proprietà del Comune, che ha tentato di
assegnare alle imprese locali alcuni spazi, ma si tratta davvero di poca cosa. 
Ecco perchè, in questo momento, l’unica ipotesi di rilancio ruota attorno alla
nuova funivia del Pramollo”.

Che lumaca lo Stato!
Gli esempi sono moltissimi, ma ci fermiamo per concludere a Palmanova. Sempre
negli Anni ’80 la sua popolazione raggiungeva i 5.700 abitanti, ma i militari
ospitati nelle sei caserme esistenti erano altrettanti: “L’intera economia –
conferma il sindaco Francesco Martines – ruotava attorno ai militari. Tra
arrivi e partenze si parlava allora di quasi 20mila persone all’anno, senza contare
i famigliari che arrivavano per assistere alle cerimonie e alle famiglie dei
graduati, creando una contaminazione culturale  tra le varie regioni della
nazione oggi impossibile. Le quattro caserme rimaste vuote occupano circa un
terzo dell’intera superficie della città dentro le mura, e lo stesso vale per
la trentina di immobili destinati ad abitazione dei militari. Oggi siamo ancora
qui, a invocare la loro sdemanializzazione. Se i tempi dello Stato fossero
stati meno lunghi, avremmo potuto pensare al reimpiego di questi spazi, anziché
realizzare molte infrastrutture all’esterno, mentre la città è impegnata nel
darsi una nuova vocazione turistica e nei servizi che pure comincia a produrre
i primi risultati”. 

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