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COSÌ ESERCITO E CARABINIERI HANNO SALVATO UN BAMBINO CHE RISCHIAVA LA VITA PER UN TUMORE

(di
Nicola Imberti) – In persiano Omid
significa “speranza”
. La stessa che Omid Krimi aveva quando, lo
scorso 29 dicembre, è salito su un volo militare che da Herat lo ha portato a
Roma. Speranza di poter tornare a correre e giocare per le vie della sua città,
speranza di poter vedere l’Afghanistan diventare un Paese veramente libero e
democratico, speranza di continuare a vivere. Perché Omid ha 14 anni ed era destinato a morire.


La sua
storia inizia a ottobre quando una funzionaria delle Nazioni Unite entra in
contatto con i Carabinieri italiani che nella base militare di Herat si
occupano della formazione della polizia afghana. Sono settimane che il bambino
sta male. All’ospedale locale lo hanno curato per una sospetta polmonite. Ma
fatica a respirare, ha perso peso e ogni notte ha qualche linea di febbre.
Il
Comando Sanitario del Contingente militare che si trova a Camp Arena è diretto
dal tenente colonnello Antonio Scoyni che lo sottopone subito agli esami
necessari. Una Tac d’urgenza, un’ecografia, si inizia la cura con ossigeno e
antibiotici.
Le
immagini degli esami vengono inviate a Roma all’ospedale militare del Celio. Un
consulto con gli oncoematologi che si trovano nella Capitale e la diagnosi: Omid ha un linfoma, una massa di circa 12
cm.
Probabilmente è malato da più di un anno e il rischio è che il tumore
possa aver già intaccato il midollo.
“La
condizione era disperata – racconta Scoyni – parlai con un collega a Roma e mi
disse: “Antonio l’unica speranza è che venga sottoposto a chemioterapia.
Se trattato ha il 70% di sopravvivere”». La situazione si complica. «In
Afghanistan dove l’aspettativa di vita è molto bassa – prosegue – non ci sono
strutture oncologiche”.
È a
questo punto che la storia di Omid si trasforma in una storia di speranza. E
solidarietà. Il bambino deve essere
portato in Italia, serve una struttura che lo ospiti. Partono le richieste per
varie Regioni. Si muovono i ministeri degli Esteri e della Sanità. Pochi giorni
e arriva la risposta positiva dell’ospedale Bambino Gesù di Roma.
A questo punto Esercito e Carabinieri si
mobilitano per velocizzare il trasferimento.
Bisogna fornirgli un
passaporto e non è cosa semplice. Solitamente a Herat occorre attendere circa
due mesi. Il Police Advisor Team dell’Arma contatta il comandante provinciale
della Polizia. Il rapporto di fiducia e collaborazione costruito nel corso
della missione militare Isaf è determinante: nel giro di un giorno Omid e sua
madre che dovrà accompagnarlo a Roma hanno il passaporto.
Anche
per la concessione del visto, attraverso l’ambasciata d’Italia a Kabul, i tempi
sono velocissimi. La vigilia di Natale il Comandante del Comando Operativo di
Vertice Interforze generale Marco Bertolini in persona telefona al generale
Maurizio Angelo Scardino, che da Herat comanda la coalizione multinazionale che
opera nell’Ovest dell’Afghanistan. Si può partire.
Anche
se c’è ancora un “ostacolo” da superare. “All’ultimo momento –
racconta ancora Scoyni – la madre di Omid non voleva partire. Era preoccupata
per la sorte degli altri sei figli che sarebbero rimasti con il padre. L’esperienza e il provvidenziale intervento
dei Carabinieri l’hanno convinta a partire. Le hanno spiegato che non sarebbero
rimasti soli”.
Il 29
dicembre il volo della “speranza” decolla da Herat. Alle 5 del
mattino atterra a Fiumicino. Fuori dall’aeroporto un’ambulanza dell’ospedale
militare del Celio. Il viaggio verso il Bambino Gesù dove tutto è pronto ad
accogliere Omid.
Sono
passati quasi due mesi. Oggi il bambino afghano sta meglio ed è stato dimesso.
La madre è tornata in Afghanistan. Lui è stato affidato ad una famiglia. Tre
volte a settimana torna in ospedale per gli esami mentre continua con la
chemioterapia. «Ci sentiamo spesso – dice Scoyni – dovrà andare avanti con le
cure ancora per due anni. La rapida diagnosi e le terapite cui lo abbiamo
sottoposto ad Herat hanno subito contribuito a ridurre la massa tumorale. E
questo gli ha salvato la vita».
Omid ha
14 anni. È un bambino molto intelligente. Parla un po’ di inglese e al Bambino
Gesù ha imparato anche qualche parola di italiano. Scoyni non può dimenticare i
suoi occhi la prima volta che l’ha visto: «Era come se avesse perfettamente
coscienza che solo noi potevamo salvarlo». E a Natale la sua «speranza» si è
realizzata. Grazie a questi uomini in
divisa che con il loro impegno ci rendono orgogliosi di essere italiani.

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