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ALLERTA TERRORISMO, ECCO COME VUOLE AFFRONTARLA L’ITALIA

Nessuna traccia concreta di un segnale specifico
organizzativo di eventuali attentati, ma al contempo un livello di
allerta elevatissimo
: l’Italia che si sveglia all’indomani dell’attacco
a Charlie Hebdo
 a Parigi è un paese dove le misure di
vigilanza e prevenzione
 subiscono un rafforzamento, in merito agli
obiettivi sensibili (tutte le sedi istituzionali presenti sul territorio e in
particolare quelle francesi, ebraiche e statunitensi). Lo raccomanda il Viminale a
prefetti e questori con una circolare emanata dopo la strage francese.

Tuttavia, se l’episodio di Parigi riguarda una situazione esplosa dopo
una serie di attentati sventati, anche in Italia il rischio è alto
da un po’ di tempo. Lo scorso settembre, infatti, in un’informativa alle
Camere
, il ministro dell’interno Angelino Alfano, chiarendo aspetti
organizzativi e strutturali del pericolo Isis, e rifacendosi alla parole del leader al
Baghdadi in cui vagheggiava la conquista di Roma, parlava di un pericolo che
richiedeva “ la massima vigilanza e l’interesse verso ogni segnale
premonitore, anche quello apparentemente più tenue, che possa consentire la
diagnosi precoce di eventuali rischi per la sicurezza interna o per gli
interessi italiani all’estero”
.
L’anello di congiunzione tra ieri e oggi sembra essere
il problema nodale dei foreign fighter, ovvero gli
estremisti di ritorno, che rientrati dai teatri di guerra potrebbero compiere
atti ostili sul suolo nazionale, come, si ipotizza, sia successo nel caso
francese
. Un flusso di uomini e know how che si
attesterebbe sui 53 uominidi cui l’Italia conoscerebbe l’identità e
la localizzazione: non 53 italiani, ma persone che sono passate
dall’Italia in partenza o di ritorno. Il passaggio successivo, come auspicato
già a settembre, quando la conta era ferma a 48 persone, vira verso
il normativo, ovvero una legge per contrastare i foreign fighter e
che si esplicherebbe in un maggior controllo di polizia e in una più estesa
attenzione anche al web, luogo di indottrinamento e di formazione per
quelli che, pur non appartenendo ai paesi dove si consuma la lotta,
decidono di formarsi e partire, magari dopo essersi convertiti.
Tra le opzioni in ballo, in un possibile disegno di legge da presentare
in Consiglio dei ministri, l’introduzione della possibilità da
parte del questore di ritirare il passaporto al sospetto di
terrorismo che decide di espatriare.
Temi che tornano alla ribalta dopo Parigi, ma solo poche settimane sono
passate da quando, tracciando un bilancio del semestre italiano Ue sui
temi dell’immigrazione e dell’antiterrorismo, riferendo il ministro al
Parlamento europeo sui risultati italiani relativi ai due punti caldi in
agenda, si evidenziava sul fronte anti-terrorismo “ grande
attenzione al radicalismo”
, al reclutamento e al fenomeno dei foreign
fighter
 per bloccarne il flusso verso Iraq e Siria. E si annoverava,
tra le azioni messe in campo, il coinvolgimento dei colossi
dell’industria del web
 per potenziare la sicurezza delle reti
informatiche
 e la proposta di creazione di una rete dei punti di
contatto che si occupano di terrorismo nei singoli Paesi, iniziativa da
tradursi in un protocollo operativo.
I fronti a cui guardare, per analizzare in maniera sistematica il
problema, sono diversi: come sottolineava Alfano a settembre“ bisogna
che sia sempre possibile contestare il delitto di partecipazione a conflitti
armati o ad atti di terrorismo che si svolgano fuori dai nostri confini: anche
quando il responsabile sia un 
lupo solitario, cioè non risulti
appartenere ad alcuna associazione di stampo terroristico né abbia svolto il
ruolo di reclutatore”.
 Il problema dei confini torna prepotente: il limen in
condivisione con la Francia è di fatto un luogo sensibile alle infiltrazioni e
non lo sono di meno i porti se lo scorso undici ottobre in una riunione alla
prefettura di Bari
 con il titolare del Viminale presente si
evidenziava come le analisi e le valutazioni dell’intelligence trovassero nel
porto di Bari una possibile porta di ingresso di aspiranti jihaidisti,
tanto da aver portato all’approvazione, l’otto ottobre, di un Piano per
la sicurezza del porto
 da parte del comitato provinciale sulla
sicurezza pubblica.
Il polso della situazione va monitorato con grande costanza, e centrale è
il ruolo del Comitato di analisi strategica antiterrorismo, un tavolo
permanente
 presieduto dal direttore centrale dellaPolizia di
prevenzione
, e a cui prendono parte le forze di polizia di competenza
generale, le agenzie di intelligence e la Guardia di Finanza e il dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria per i contributi specialistici: il comitato
di fatto svolge un ruolo di raccordo tra le diverse parti, per
valutare e approfondire le notizie che auspicano misure di prevenzione e
contrasto.

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