EditorialeSindacati Militari

Un sacrificio dovuto per gli Stati Uniti d’Europa. Come il 2% sulla spesa militare salverà la difesa italiana. Intervista ad Antonio Nicolosi di UNARMA

Tredici miliardi in più per rinvigorire la spesa militare. È questa la proposta avanzata da FdI all’interno del decreto Ucraina, un provvedimento che, approvato in settimana insieme al Def, porta al 2 per cento i fondi del Pil destinati alla difesa. Ed è una scelta coerente con il momento storico che stiamo vivendo, ma soprattutto con la condizione generale del comparto difesa. Sottorganico, sotto stress e con vecchie dotazioni militari: questa la situazione in cui versano le Forze Armate italiane secondo UNARMA, il più antico sindacato dell’Arma dei carabinieri. Ma come si è arrivati a questo punto? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Nicolosi, Segretario generale nazionale del sindacato che dal 1993 difende i diritti dei carabinieri.

Nicolosi, c’è chi riconosce in questo aumento un dovere dell’Italia per troppo tempo rimandato. È davvero così?

“Dal 2014, ovvero dopo la Guerra di Crimea, la Nato e in particolar modo gli Stati Uniti d’America hanno chiesto ai paesi aderenti al patto Atlantico l’aumento al 2% del Pil entro il 2024, circa 13 miliardi in più della spesa che oggi corrisponde all’1,4% del Pil per il comparto difesa. Da quella data ci sono state molte altre sollecitazioni, sia da parte della Nato, dagli Stati Uniti d’America – mai prese in seria considerazione dai governi italiani – e oggi dalla stessa Europa”

C’è però chi dice che la spesa militare mondiale negli ultimi dieci anni sia già cresciuta è cresciuta del 9,3%. Dove sono finite le risorse che l’Italia ha investito in questi anni allora?

“Oggi con la guerra in atto ci si è resi conto della necessità di aumentare la spesa militare. Le risorse immesse sino a oggi sono servite, poi, per lo più al pagamento degli stipendi dei militari, nonché in misura più importante al pagamento degli stipendi dei dirigenti delle Forze Armate, aumentati consistentemente negli anni. Questa prassi ha prodotto una spesa minore sugli armamenti in dotazione, come per esempio sui carri armati: sono ormai ridotti all’osso e con problemi che li limitano al supporto logistico, sprovvisti di pezzi di ricambio perché vecchi e con criticità ataviche quali la saldatura nello scudo frontale, senza dimenticare i problemi di trasferimento, a causa della disponibilità ridotta di carri pianali adeguati. I carri armati si possono trasportare infatti via ferrovia e solo 14-15 alla volta. Senza contare poi l’età degli aeromobili e delle navi leggere, non corrispondenti alle esigenze odierne.

La guerra in Ucraina ci ha messo perciò con le spalle al muro, ci ha ricordato che le nostre dotazioni sono antiquate e non corrispondenti al XXI secolo”

Quali sono, oggi, le priorità su cui allora dovrebbe investire il Governo italiano, per colmare le arretratezze?

“L’aumento della spesa pubblica per il comparto difesa deve essere seguita dalla creazione di un esercito europeo comune che permetta interventi rapidi, come per esempio quello costituito e poi chiuso, senza alcuna ragione plausibile, chiamato Ams. Questa strategia favorirebbe l’Italia nel prossimo futuro ma anche gli stati membri, perché porterebbe unione tra tutti i paesi europei. L’auspicio maggiore di UNARMA è che questo sia un primo passo per costituire una vera unione, una pietra miliare per gli Stati Uniti d’Europa”.

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