Carabinieri

STALKING IN CASERMA: «MARESCIALLO, CHIAMAMI. È UN ORDINE»

Un corteggiamento serrato, poi la proposta di uscire insieme che veniva gentilmente rifiutata dalla giovane e bella collega. Peccato che il maresciallo capo Mario Braidi di arrendersi non ne voleva proprio sapere e così iniziava a tormentare la donna con un’interminabile serie di squilletti, chiamate ed sms, che gli sono costati una pesante condanna a 2 anni di reclusione perché ritenuto responsabile dal giudice monocratico del reato di atti persecutori e di accesso abusivo al sistema informatico.

Una storia di stalking come tante, durata circa 2 mesi, ma resa particolare dal fatto che vittima e persecutore erano entrambi in servizio presso la caserma di Monteverde. Era l’estate del 2016 quando l’uomo, in passato insignito dell’onorificienza di Cavaliere Ordine al Merito della Repubblica Italiana, incapace di rassegnarsi ad una storia mai nata, iniziava a perseguitare la donna, diventata più un ossessione che una passione. Un innocuo squilletto dopo l’altro, prendeva il via l’incubo della vittima che, secondo l’accusa, veniva bombardata da oltre 300 tentativi, fra chiamate ed sms, in meno di due mesi. Così sullo smartphone del donna comparivano frasi di vario tenore e con differenti intenti.

Come quando, spiegava il procuratore aggiunto Maria Monteleone, sul cellulare del militare compariva un messaggio con cui, sfruttando il suo ruolo, l’uomo le faceva pressione: «Maresciallo, chiamami. È un ordine». Oppure quando, per terrorizzarla, le inviava un sms paventandole l’ipotesi, del tutto falsa, che fossero in corso indagini a suo carico: «Amor proprio…protezione totale per evitare figure non brillanti… visto che sei seguita da personale nostro… speriamo che capisci ora».

Lo stesso imputato, secondo l’accusa, cercando del marcio nella vita della collega, scopriva che questa aveva avuto contatti con un sospetto e per questo effettuava 15 accessi allo Sdi per reperire informazioni a suo carico. Una situazione insostenibile che spingeva la donna prima a rinunciare a frequentare la mensa dell’Arma e poi, dopo aver sporto la denuncia/querela, ad ottenere il trasferimento, a sua tutela, in un’altra caserma.

Davide M. Ruffolo – Leggo.it

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