Editoriale

“SOLDATI SENZA DIFESE PER LA SALUTE E TERRITORI DEVASTATI”. L’ESITO DELLA COMMISSIONE URANIO

Le accuse durissime della relazione della commissione parlamentare che per la prima volta ha messo a fuoco le carenze nella sicurezza sui posti di lavoro dei militari con l’ausilio di consulenti esterni come magistrati ufficiali dei Nas e medico-legali
di ALBERTO CUSTODERO per Repubblica 
ROMA – Soldati senza ‘difese’ per la salute. E territori devastati. Sono queste le durissime accuse contenute nella relazione della commissione Uranio approvata oggi con la sola astensione del deputato Mauro Pili (ex sondaggista di Berlusconi, ex presidente della Sardegna, ora nel gruppo misto). Nelle cento pagine del documento sono declinate le carenze (analizzando anche le cause) nel sistema della prevenzione della sicurezza sul lavoro del comparto Difesa, sia in Italia ad esempio per l’esposizione all’amianto e al radon. Sia nelle missioni estere, per l’esposizione alle nanoparticelle provocate dalle munizioni all’uranio impoverito. E una parte è dedicata ai gravi danni recati all’ambiente e alle popolazioni vicine ai poligoni militari.
Le durissime accuse. Militari morti o ammalati per una somministrazione errata di vaccini. Militari morti o ammalati in servizio “umiliati” da indennizzi “mortificanti”. Magistratura che non tutela in modo “sistematico” la sicurezza e la salute dei militari.

E quando lo fa (“con tale lentezza”), condanna da una parte e assolve dall’altra per gli stessi reati, quando non interviene la prescrizione. “Inveterata incapacità” dei militari “di governare efficacemente il rischio” nella gestione dei poligoni, mai – o tardivamente – bonificati. Torio, elemento radioattivo cancerogeno usato nel sistema di puntamento del missile anticarro Milan, trovato “sia nel bestiame, sia in alcune persone, e in particolare nelle ossa delle salme riesumate di pastori deceduti per malattie oncologiche o linfomi”. “Scarse conoscenze, ammesse dagli stessi vertici militari responsabili del coordinamento delle missioni estere sull’uso di armamenti pericolosi da parte di Paesi amici”. Sla, patologia neurodegenerativa, riconosciuta “malattia connessa al servizio militare” dagli Usa. Ma non dall’Italia. Forze Armate che “per decenni hanno esposto personale militare e civile ad elevatissime concentrazioni di gas radon” facendoli lavorare in posti come “il sito incavernato del Monte Venda, mantenendo il silenzio sull’esistenza del gas radioattivo noto per la sua cancerogenicità”.

La relazione della commissione Uranio. Questa quarta edizione della Commissione (presieduta dal deputato pd Giampiero Scanu), a differenza delle precedenti, si è avvalsa di consulenti esterni con particolari competenze ispettive e investivative, magistrati come l’ex pm torinese Raffaele Guariniello (esperto di prevenzione sui luoghi di lavoro), ufficiali di polizia giudiziaria come l’ufficiale Nas Loreto Buccola (specializzato in reati sanitari), e medici legali come Rita Celli(consulente tecnico delle procure). E il risultato è stato un libro bianco sulle carenze del sistema delle tutele della salute dei militari a 360 gradi, andato ben oltre il pur grave problema dell’uranio impoverito. La relazione Scanu è diventata così uno scottante j’accuse “perché quelle criticità – si legge testuale nel documento parlamentare – sono, e continueranno ad essere, alimentate da un problema irrisolto: l’universo della sicurezza militare non è governato da norme adeguate”. Detto in altre parole: “Il mondo delle Forze Armate è apparso chiuso alle istanze di rinnovamento in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro”. Secondo la Relazione, queste carenze nel sistema della prevenzione renderebbero i dipendenti della Difesa dei “lavoratori deboli”. Esattamente il contrario di quel che si potrebbe immaginare. Ecco alcuni stralci della Relazione.

“Così si moriva per le vaccinazioni”. “La Commissione ha esaminato una serie di casi specifici di militari che hanno riportato patologie anche gravi e in taluni casi sono deceduti, in relazione alle modalità delle somministrazioni delle vaccinazioni. In particolare si è registrato il caso del caporale maggiore F.R., mai andato in missione fuori dal territorio nazionale, vaccinato sebbene già affetto da malattia oncologica (linfoma di hogkin) non rilevata per mancanza di esami pre-vaccinali, e pertanto in stato di grave immunosoppressione e successivamente deceduto. Oppure il caso del soldato semplice D.G., congedato dopo poco più di sei mesi dall’arruolamento, avvenuto l’8 febbraio 2007, a seguito di grave astenia e deperimento fisico iniziati il giorno stesso della vaccinazione multipla, avvenuta il 19 giugno 2006. Oppure il caso del caporal maggiore G.T., arruolato nel 1999 e in congedo dal 25.11.2000 dichiarato ‘permanentemente non idoneo al servizio militare incondizionato’ perché affetto da linfoma di Hodgkin (tipo sclerosi nodulare in stadio clinico II A), vaccinato senza l’effettuazione di esami pre-vaccinali. È dunque emersa la necessità di svolgere esami pre-vaccinali prima della somministrazione dei vaccini, sia al fine della valutazione di immunità già acquisite, sia al fine dell’accertamento di stati di immunodepressione che sconsiglino di somministrare il vaccino in quello specifico momento”.

“C’era il radon, ma la Difesa taceva. “Tra i rischi che la Commissione si è preoccupata di approfondire, fa spicco il radon.Le indagini della Commissione hanno consentito di accertare che per decenni le Forze Armate italiane hanno esposto personale militare e civile ad elevatissime concentrazioni di gas radon, un gas radioattivo noto per la sua cancerogenicità. È in luoghi di lavoro di questo tipo che hanno prestato servizio per svariati anni, in alcuni casi per l’intera carriera lavorativa, numerosi lavoratori dell’Amministrazione della Difesa colpiti in seguito da tumore polmonare. Quali, ad esempio, quelli ammalati o deceduti dopo aver lavorato per lunghi periodi nel sito incavernato del Monte Venda, nel complesso orografico dei colli Euganei, in provincia di Padova, ove, nelle viscere della montagna, era stata scavata sin dagli anni cinquanta del secolo scorso la base militare che ospitava il 1° Regional Operative Command (1° Roc). Qui le concentrazioni di radon superarono di decine, ed in alcune postazioni, anche di cento volte, gli attuali limiti di legge per i luoghi di lavoro.

Emerge dal procedimento penale in corso presso il tribunale di Padova, ovvero che le Forze Armate Nato erano a conoscenza delle elevate concentrazioni di radon nelle installazioni militari di Monte Venda già dalla fine degli anni Ottanta, ed avevano messo in atto le azioni di tutela del proprio personale, quali limitazioni degli accessi ai locali ed utilizzo di appositi dispositivi di protezione individuale, fino alla chiusura del sito. Al contrario, risulterebbe che le Forze Armate italiane esposero ancora per decenni il proprio personale addetto, mantenendo il silenzio sull’esistenza del rischio radon e non adottando adeguate tutele”.

Poligoni: “Danni all’ambiente e tardiva bonifica”. “Fanno spicco purtroppo svariati poligoni di tiropresenti sul territorio nazionale nei quali la mancata o tardiva bonifica dei residui dei munizionamenti impiegati nelle esercitazioni ha prodotto rischi ambientali in danno di quanti furono o sono chiamati ad operare o a vivere nel loro ambito. Memorabili sono il Poligono di Capo Teulada con l’esecrabile penisola interdetta, ma anche il Pisq, il Monte Romano, e quella Cellina Meduna solo ultimamente liberata dalle lunette di Torina. L’evidente ritardo accusato dai responsabili dei poligoni nel ricostruire l’uso effettuato in passato del missile Milan, e, di conseguenza, nel censire la presenza sul terreno di residui pericolosi come le lunette di Torina, dimostra un’inveterata incapacità di governare efficacemente il rischio”.

Il dramma dei missili Milan. “Solo il 7 giugno 2017, dietro richiesta della Commissione, il Comandante del Pisq, generale Giorgio Francesco Russo, ha comunicato che ‘il numero di missili Milan lanciati presso il Pisq nel periodo dal 1986 al 2000 è di 463 a testa attivae 50 a testa inerte’. Questi dati sono stati confermati dal Gen. Roberto Nordio, Sottocapo di Stato Maggiore della Difesa, in data 21 giugno 2017, il quale ha, inoltre, riferito che i missili Milan utilizzati presso il Poligono di Capo Teulada sono stati 4242 (di cui 636 a testa inerte e 4069 a testa attiva).

Procuratore di Lanusei: “I morti per i missili Milan”. “Di grande rilievo anche in proposito è stata, nella stessa data del 7 giugno 2017, l’audizione del procuratore della Repubblica di Lanusei, Biagio Mazzeo: “Abbiamo avuto il problema dei missili Milan. Sfortunatamente questi missili erano stati concepiti con un sistema di puntamento che usava il torio, che è un elemento radioattivo abbastanza conosciuto. Le indagini svolte hanno fatto emergere la presenza del torio sia nel bestiame, sia in alcune persone, e in particolare è stata fatta una riesumazione di salme di pastori deceduti per malattie oncologiche o linfomi e si è visto che c’era una componente di torio nelle loro ossa.La relazione dice infatti che ulteriori elementi di valutazione provengono dalle perizie sull’esame degli allevatori morti fra il 1995 e il 2010 a causa di tumori del sistema linfatico, per verificarne l’eventuale presenza di una contaminazione di elementi radioattivi. Il fisico Evandro Lodi Rizzini, direttore del Dipartimento di chimica e fisica dell’Università di Brescia e membro del Cern di Ginevra, ha eseguito accertamenti su tali resti, evidenziando una presenza di torio 232 nelle ossa”.

“Nonostante le ripetute richieste indirizzate all’Amministrazione della Difesa, la Commissione non ha ricevuto risposte esaurienti circa l’attuale disponibilità da parte delle Forze Armate di missili Milan contenenti radionuclidi, o comunque di armamenti che contengono o che possono liberare agenti chimici, fisici, radiologici, biologici, potenzialmente nocivi per la salute umana e/o per l’ambiente”.

“Sla malattia professionale negli Usa. E in Italia?”. “Un’ulteriore, potenziale, situazione di rischio richiederebbe anche in Italia la stessa attenzione riservata dalle autorità militari di altri Paesi. La Commissione ha rilevato come negli Stati Uniti, tra i veterani della Guerra del Golfo, si sia riscontrata un’incidenza di Sla(sclerosi laterale amiotrofica) che ha indotto le Autorità di quel Paese a riconoscere la Sla come malattia connessa al servizio militare, e dunque come malattia indennizzabile, per tutti i veterani che hanno prestato servizio per più di 90 giorni. Analogo provvedimento è stato adottato in Canada. Spontaneo è chiedersi se in Italia l’Amministrazione della Difesa abbia svolto indagini e condotto studi sulla Sla tra i militari”.

“Per quanto riguarda la situazione Italiana, il generle Tomao ha riferito che all’Osservatorio Epidemiologico della Difesa sono giunte a partire dal 2007 solo 7 segnalazioni di casi di Sla (dei quali solo uno aveva partecipato a missioni nei Balcani). Il fatto è che un simile dato riguarda solo i militari in servizio e trascura i militari che potrebbero aver contratto la malattia dopo il congedo. D’altra parte, non è stato chiarito quale sia l’atteggiamento delle Forze Armate Italiane rispetto ai casi segnalati, e se quindi vi sia un riconoscimento automatico della causa di servizio, o se, contrariamente a quanto avviene negli Stati Uniti, si tenda a disconoscere un nesso di causalità tra la malattia e il servizio militare”.

I dati (nascosti) sui morti per amianto. “Secondo quanto comunicato dalla Difesa, nel comparto si sarebbero verificati 126 casi di mesotelioma; dai dati raccolti dalla procura della repubblica di Padova le malattie asbesto correlate a carico di dipendenti della Marina Militare sono state 1101, di cui 570 mesoteliomi pleurici. Ciò dimostra che la Difesa finisce necessariamente per sottovalutare il fenomeno e, quindi, per programmare una non adeguata sorveglianza degli esposti, o ex-esposti all’amianto. Un drammatico interrogativo si pone, in particolare, con riguardo ai casi di mesotelioma: gli oltre 500 casi ignorati dall’Osservatorio Epidemiologico Militare sono rimasti totalmente ignorati dalla Difesa? Questi casi sono pervenuti all’attenzione del Comitato di Verifica delle Cause di Servizio o costituiscono un immane vuoto di tutela?”.

Missioni all’estero: “Scarse conoscenze…”. Per quanto riguarda i teatri operativi all’estero, la relazione ha denunciato “l’inammissibile ritardo con il quale vengono effettuati i monitoraggi ambientali, le testimonianze di militari come il caporal maggiore Antonio Attianese (purtroppo successivamente deceduto), e persino le scarse conoscenze, ammesse dagli stessi vertici militari responsabili del coordinamento delle missioni, circa l’uso in tali contesti di armamenti pericolosi anche da parte di Paesi amici, fanno emergere un quadro che evidenzia l’esposizione a numerose situazioni di rischio non preventivamente, né adeguatamente, poste sotto controllo”.

La magistratura non indaga: “Diffuso senso impunità”. “Non possiamo nasconderci una realtà: vi sono zone del nostro Paese in cui proprio non si celebrano processi in materia, e altre in cui questi processi vengono avviati magari per omicidio colposo o lesioni personali colpose, ma poi le indagini risultano condotte con una tale lentezza o senza gli indispensabili approfondimenti, con la conseguenza che si chiudono con il proscioglimento nel merito o per prescrizione del reato. La conseguenza è devastante. Si è diffuso un senso d’impunità, l’idea che le regole c’erano e ci sono, ma che si potevano e si possono violare senza incorrere in effettive responsabilità. E si è diffuso tra le vittime e i loro parenti un altrettanto devastante senso di giustizia negata. Dobbiamo costruire una nuova organizzazione nel settore delle morti causate dal lavoro e dall’ambiente, una procura della repubblica nazionale, o quantomeno un’Agenzia nazionale, altamente specializzata e con competenza estesa a tutto il territorio nazionale”.

“Le tante procure non sono in grado”. “Le tante procure della repubblica istituite in Italia – spesso procure di piccole dimensioni – non sono in grado di fronteggiare ipotesi particolarmente complesse quali sono quelle che possono verificarsi nel settore dell’ambiente e del lavoro, e ciò per difetto di specializzazione nella materia e per mancanza di esperienze pregresse sul campo. Una procura, o un’agenzia, nazionale sarebbe in grado di perseguire finalità basilari. Se ne indica una: porre rimedio all’attuale, fuorviante frammentazione delle indagini su situazioni analoghe quando non identiche che si verificano in diversi luoghi del territorio nazionale. Ogni procura della Repubblica esamina un pezzetto della storia complessiva, e non ha la possibilità di ricomporre le diverse tessere in un mosaico coerente”.

“Il risultato è che di rado si riesce a cogliere le effettive cause e le reali dimensioni del fenomeno, non sempre si riesce a comprenderne le ripercussioni profonde sulla salute e sull’ambiente, troppo spesso le effettive responsabilità rimangono avvolte nel mistero. Come stupirsi allora se, ad esempio, le indagini su casi di tumori occorsi a personale dell’Amministrazione della Difesa esposto al medesimo danno si chiudano in una zona con la condanna e in altre zone nemmeno si aprano o finiscano con un’archiviazione?”.

Le conclusioni: C’è bisogno di una nuova legge”. Senza una nuova legge, osservano i parlamentari della Commissione, “resteranno immutate le scelte strategiche di fondo che attualmente ispirano la politica della sicurezza nel mondo delle Forze Armate. Quelle scelte strategiche che paradossalmente trasformano il personale dell’Amministrazione della Difesa in una classe di lavoratori deboli. Quelle scelte strategiche che per giunta umiliano i militari ammalati o morti per la mortificante sproporzione tra la dedizione dimostrata in attività altamente pericolose dal militare e la riluttanza istituzionale al tempestivo riconoscimento di congrui indennizzi”. “A maggior ragione, queste proposte di legge si rivelano di cruciale rilievo, ove si tenga presente che non appaiono sistematici gli interventi della magistratura penale a tutela della sicurezza e della salute del personale dell’Amministrazione della Difesa”. “Sotto più aspetti, all’insegna e dietro il paravento di una fraintesa specificità, il mondo delle Forze Armate è apparso chiuso alle istanze di rinnovamento in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro”.

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