Esteri

Siamo senza politica estera. La crisi di Hong Kong è la prova.

Nessun messaggio, nessuna dichiarazione, nessuna fermezza da parte del nostro Paese per le restrizioni di Pechino mentre Giappone, Stati Uniti e Australia hanno ribadito ieri, 8 luglio, la loro “profonda preoccupazione” per la recente promulgazione della draconiana legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, studiata da Pechino, e per le sue ricadute sullo stato delle liberta’ civili e dei diritti umani nella ex colonia britannica. I ministri della Difesa dei tre paesi alleati – Taro Kono per il Giappone, Mike Esper per gli Stati Uniti e Linda Reynolds per l’Australia – hanno assunto una posizione comune nel corso di una videoconferenza, che è servita anche a discutere il rafforzamento dell’iteroperabilita’ tra le rispettive forze armate al fine di contenere l’avanzata strategica della Cina. Riferendosi proprio alla Cina, senza pero’ citarla apertamente, i tre ministri hanno riaffermato la “ferma opposizione” dei loro governi all’impiego della forza e della coercizione per alterare lo status quo e aumentare le tensioni nel Mar Cinese Meridionale, principale teatro dell’espansionismo marittimo di Pechino. A margine della videoconferenza, il ministro Kono e’ intervenuto di fronte alla Dieta, affermando che il Giappone intende unirsi a “paesi dagli orientamenti affini” per “opporsi con forza ai tentativi della Cina” di mutare lo status quo regionale il governo di Hong Kong ha presentato questa settimana le “regole di attuazione” dell’articolo 43 della nuova legge sulla sicurezza nazionale, entrate appieno in vigore il 7 luglio. Lo riferisce “Rthk” che spiega che la mancata osservanza di queste regole puo’ comportare sanzioni e multe. Secondo i regolamenti, la polizia puo’ chiedere a coloro che pubblicano messaggi ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale su piattaforme elettroniche di rimuoverli, e limitare o impedire a chiunque di riceverli. Se le persone che inviano tali messaggi non coopereranno immediatamente con la polizia, questa potra’ chiedere ai magistrati di emettere mandati per sequestrare apparecchiature elettroniche. Gli agenti possono inoltre chiedere mandati al tribunale, richiedere ai fornitori di servizi di consegnare i documenti sull’identita’ di qualcuno o di aiutare nella decodifica dei dispositivi. Le persone che non rispettano le richieste della polizia rischiano multe fino a circa 12 mila dollari e pene detentive fino a un anno. I fornitori di servizi rischiano simili multe e pene detentive se non collaborano con le autorita’ nei giorni scorsi la polizia di Hong Kong ha raccolto campioni di Dna e perquisito le case dei primi manifestanti arrestati ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale entrata in vigore la scorsa settimana. La polizia locale ha effettuato i primi arresti la scorsa settimana portando in custodia dieci manifestanti: sei uomini e quattro donne, dai 15 ai 67 anni, sono stati arrestati con l’accusa di atti di incitamento o di sostegno alla sovversione o alla secessione. Il quotidiano “The Straits Times” riferisce che, secondo gli avvocati che rappresentano i manifestanti, almeno sei di loro possedevano opuscoli e striscioni a favore della democrazia e dell’indipendenza dell’ex colonia britannica. Janet Pang, avvocato di alcuni di essi, ritiene che sia la prima volta che vengono raccolti dati genetici da manifestanti arrestati per reati minori. “E’ inutile, invadente e sproporzionato. Non so perche’ hanno dovuto prelevare campioni di Dna. Non sappiamo che tipo di database stanno cercando di costruire e che potrebbe essere inviato al governo centrale di Pechino”, ha affermato Pang. L’avvocato ha spiegato che la polizia di Hong Kong ha l’autorita’ di raccogliere campioni di Dna da oltre un decennio, ma in genere l’ha utilizzata solo in casi di aggressione o traffico di droga. I pochi manifestanti che avevano subito prelievi di campioni di Dna dalla polizia erano stati accusati di reati piu’ gravi tra cui il possesso di armi e il tentativo di incendio doloso, ha aggiunto il quotidiano sottolinea che la Cina usa gia’ i dati del Dna per tenere traccia della popolazione uigura nella regione nord-occidentale dello Xinjiang. Secondo Charles Mok, imprenditore nell’industria della tecnologia, lo scopo della raccolta non e’ chiaro e, data la natura spesso arbitraria di questi arresti negli ultimi mesi, tale raccolta e la possibile conservazione permanente dei dati sul Dna e’ preoccupante e priva di controllo”, ha detto. La polizia di Hong Kong ha affermato che, in base alla legge esistente, i funzionari hanno l’autorita’ di prelevare campioni di Dna dai dieci individui che sono stati arrestati questa settimana. Le forze dell’ordine hanno affermato che i campioni sono stati prelevati per dimostrare – o confutare chiunque abbia piu’ di undici anni deve consegnare i dati biometrici per ricevere una carta d’identita’ di Hong Kong e dalla meta’ di quest’anno, chiunque entri in citta’ dall’estero ha dovuto rilasciare un campione di saliva per testare la presenza del coronavirus. Il governo locale non ha specificato che uso viene fatto di quei campioni e Mok ha ripetutamente cercato di ottenere risposte in merito. Secondo Mok, la nuova legislazione ha la precedenza su alcune delle leggi di Hong Kong, quindi qualunque cosa le linee guida legali abbiano stabilito in passato per lo smaltimento dei campioni di saliva e i relativi dati, potrebbero non essere piu’ applicabili. “C’e’ una costante mancanza di trasparenza e, soprattutto, una mancanza di fiducia nel governo, che e’ ancora il problema piu’ grande e fondamentale di tutti”, ha aggiunto. Intanto il Ministro Di Maio non interviene e non è un buon segnale nel quadro diplomatico internazionale anche perché in Europa, tutti i rappresentanti degli Esteri, hanno preso una posizione condannando le azioni adottate nelle ultime ore nei confronti dei cittadini di Hong Kong.

Gianni Tempra – Pechino

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