RIMOSSO DAL COMANDO IL CAPITANO ULTIMO. SALTA DOPO L’INTERCETTAZIONE ADINOLFI (GDF)-RENZI PUBBLICATA ALUGLIO
Astutamente nascosta nelle pieghe più calde dell’estate una
lettera del Comando generale dei carabinieri datata 4 agosto spazza via il
colonnello Sergio De Caprio, nome in codice Ultimo,
dalla guida operativa dei suoi duecento uomini del Noe, addestrati
a perseguire reati ambientali, ma anche straordinari segugi capaci di scovare
tangenti, abusi, traffici di denari e di influenza. Uomini che stanno nel cuore
delle più clamorose inchieste di questi ultimi anni sull’eterna sciagura
italiana, la corruzione.
generale Tullio Del Sette, il numero uno dell’Arma. Stabilisce che
da metà agosto il colonnello De Caprio non svolgerà più funzioni di polizia
giudiziaria, manterrà il grado di vicecomandante del Noe, ma senza compiti
operativi. Motivo? Non specificato, normale avvicendamento. Anzi: “Cambiamento
strategico nell’organizzazione dei reparti”. Cioè? Frazionare quello che fino
ad ora era unificato: il comando delle operazioni.
vista la quantità di scandali e corruzioni che il persino presidente della
Repubblica Sergio Mattarella ha definito “il germe distruttivo
della società civile”.
prende commiato dai suoi reparti con una lettera avvelenata contro i “servi
sciocchi” che abusando “delle attribuzioni conferite” prevaricano “e calpestano
le persone che avrebbero il dovere di aiutare e sostenere”. Lettera destinata
non a chiudere il caso, ma a spalancarlo in pubblico.
quasi mai in sintonia con le alte gerarchie dell’Arma che non lo hanno mai
amato. Colpa del suo spirito indipendente, della sua velocità all’iniziativa
individuale. Di quella permanente difesa dei suoi uomini e dei suoi metodi di
indagine da entrare in collisione con i doveri dell’obbedienza e della
disciplina. Già in altre occasioni hanno provato a trasformarlo in un
ingranaggio che gira a vuoto. Fin dai tempi remoti dell’arresto di Totò
Riina – gennaio 1993 – che gli valse non una medaglia, ma la condanna
a morte di Cosa nostra, poi un ordine di servizio che lo estrometteva dai
Reparti operativi, poi un processo per “la mancata perquisizione del covo” da
cui uscì assolto insieme con il suo comandante di allora, il generale Mario
Mori. Per non dire di quando provarono a metterlo al caldo tra i banchi
della Scuola ufficiali, a privarlo della scorta – anno 2009 – riassegnatagli
dopo la rivolta dei suoi uomini che si erano raddoppiati i turni per proteggerlo.
Sergio De Caprio ha trasformato i Nuclei operativi ecologici a sua immagine,
macinando indagini, rivelazioni. Oltre a molti e sorprendenti arresti, da
quelli di Finmeccanica ai più recenti per gli appalti de L’Aquila.
Belsito, quello degli investimenti della Lega Nord in Tanzania e dei
diamanti, il tesoriere del Carroccio che a forza di dissipare milioni di euro
come spiccioli, ha liquidato l’intero cerchio magico di Umberto Bossi. Poi
Finmeccanica. Con il clamoroso arresto di Giuseppe Orsi, l’amministratore
delegato del gruppo e di Bruno Spagnolini di Agusta, indagati
per una tangente di 51 milioni di euro pagata a politici indiani per una
commessa di 12 elicotteri. E ancora.
per i suoi traffici di informazioni segrete e appalti per la P4, coinvolti gli
gnomi della finanza e della politica, spioni, e quel capolavoro di Alfonso
Papa, deputato Pdl, che aveva un debole per i Rolex rubati.
potente banchiere dello Ior, interrogato sulle operazioni più riservate della
banca vaticana dietro le quali i magistrati ipotizzavano il reato di riciclaggio.
Le indagini sul tesoro di Massimo Ciancimino seguito fino in
Romania; quelle su una banda di narcotrafficanti a Pescara, e persino quelle
recentissime su Roberto Maroni, il presidente di Regione Lombardia,
accusato di abuso di ufficio per aver fatto assumere due sue collaboratrici
grazie a un concorso appositamente truccato. Per finire con le inchieste sulla
Cpl Concordia, la ricca cooperativa rossa che incassava appalti in mezza
Italia, distribuiva consulenze, teneva in conto spese il sindaco pd di
Ischia, Giosi Ferrandino, e per sovrappiù comprava vino e libri da
un amico speciale, l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema.
Inchieste in cui compaiono anche due sensibilissime intercettazioni, tutte
pubblicate in esclusiva dal Fatto lo scorso 10 luglio.
il generale della Gdf Adinolfi, nella quali l’allora soltanto
leader del Pd svelava l’intenzione di fare le scarpe a Enrico Letta per
spodestarlo da Palazzo Chigi. La seconda – 5 febbraio 2014 – è quella relativa
a un pranzo tra lo stesso Adinolfi, Nardella (allora
vicesindaco di Firenze), Maurizio Casasco (presidente dei
medici sportivi) e Vincenzo Fortunato (il superburocrate già capo di
gabinetto del ministero dell’economia) in cui si faceva riferimento a ricatti
attorno al presidente Napolitano per i presunti “altarini” del
figlio Giulio. Tutto vanificato ora per il “cambiamento strategico
nell’organizzazione dei reparti”. Motivazione d’alta sintassi burocratica che a
stento coprirà gli applausi della variopinta folla degli indagati (di destra,
di centro, di sinistra) e la loro gratitudine per questa inaspettata via
d’uscita che riapre le loro carriere, mentre chiude quella di Sergio De Caprio.
queste ore serpeggia dentro l’Arma, e vista la reazione (furente e non del
tutto silenziosa) dell’interessato che trapela dalla lettera inviata ai suoi
uomini, una dichiarazione di guerra, travestita da addio.
una criminalità complessa, contro le lobby e i poteri forti che la sostengono,
senza mai abbassare la testa, senza mai abbassare lo sguardo di fronte a loro e
senza mai nulla chiedere per voi stessi.
mai abbassare la testa, senza mai abbassare lo sguardo e senza mai chiedere
nulla per voi stessi, continuerete la lotta contro quella stessa criminalità,
le lobby e i poteri forti che le sostengono e contro quei servi sciocchi che,
abusando delle attribuzioni che gli sono state conferite, prevaricano e
calpestano le persone che avrebbero il dovere di aiutare e sostenere.
dell’Ambiente.
