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Persi cinque anni di aumenti sulla pensione dei militari durante il blocco stipendiale, Corte dei Conti “provvedimento legittimo”

Militari in pensione senza considerare il blocco di stipendi e progressioni di carriere per cinque anni dal 2010 fanno ricorso alla Corte dei conti (per la competenza in materia pensionistica) e chiedono l’adeguamento dell’assegno mensile.

Il ricorso dei carabinieri in pensione

A ricorrere alla giustizia contabile sono stati alcuni carabinieri, ormai in pensione, lamentando, nei confronti di Inps e Ministero della Difesa, la mancata “rideterminazione e/o riliquidazione della pensione, con il riconoscimento al diritto all’attribuzione degli incrementi correlati alle progressioni in carriera conseguite nel periodo dall’1.01.2011 al 31.12.2014 e con il riconoscimento del diritto all’attribuzione degli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione di carriera avvenuta durante il blocco retributivo, perpetrato ad opera dell’art. 9 della legge n. 122 del 2010”.

 

Di fatto con quella norma la retribuzione veniva “congelata” all’ultima classe o scatto maturati anteriormente al 1° gennaio 2011 senza tenere conto degli incrementi retributivi, non percepiti in servizio per via del “blocco”, ma spettanti a fini di pensione, in relazione anche al periodo di servizio 2011-2015.

La decisione della Corte dei Conti

I giudici contabili, però, hanno ricordato che quella norma è stata dichiarata costituzionalmente valida laddove prevede che “per le categorie di personale … che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi”, gli anni in questione “non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”.

Cosa ha detto la Consulta

La Consulta “ha ritenuto legittimo il meccanismo di blocco degli automatismi retributivi e degli incrementi stipendiali in ragione delle progressioni di carriera nel lavoro pubblico (contrattualizzato e non) in quanto rispondente a soddisfare un’esigenza di contenimento della spesa complessiva per tale personale, in modo da assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”.

 

Ne consegue che il ricorso “deve, pertanto, essere rigettato”, con spese compensate.

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