Carabinieri

Mauro Guerra, il carabiniere testimone: «Io non avrei sparato»

A una settimana dall’udienza della Corte d’Appello che dovrà decidere sul risarcimento alla famiglia di Mauro Guerra, arrivano parole che possono aprire nuovi scenari su una vicenda controversa. La storia è quella di Mauro Guerra, 31enne di Carmignano di Sant’Urbano ucciso da un carabiniere il 29 luglio del 2015. Guerra era stato freddato dal maresciallo Marco Pegoraro perché stava picchiando un carabiniere che gli voleva stringere le manette ai polsi, il 32enne stava cercando di opporsi a un arresto che riteneva illegittimo. Lo dirà anche giudice di primo grado: tutto l’impianto di “assedio” messo in atto dai carabinieri quel giorno per portare Mauro Guerra in ospedale era illegittimo e censurabile: Guerra, ritenuto pericoloso dai carabinieri, non aveva commesso alcun reato, il “Tso” avanzato dalle forze dell’ordine non era stato approvato da nessuna autorità sanitaria o amministrativa.

Le parole del maresciallo

Il processo penale, però, si è chiuso con l’assoluzione del carabiniere che era stato incolpato di eccesso colposo di legittima difesa. La famiglia ha fatto ricorso in Appello per chiedere il risarcimento da parte del carabiniere, gli avvocati Fabio Pinelli e Alberto Berardi che rappresentano la famiglia Guerra hanno fatto leva proprio sulle parole del giudice che, pur assolvendo Pegoraro, aveva puntato il dito contro i comportamenti dei carabinieri. A parlare ora è il maresciallo Filippo Billeci, un militare intervenuto sul posto il giorno della tragedia, un carabiniere che conosceva bene Guerra e che di fatto lo aveva visto crescere fin da ragazzo e che mai fino ad oggi era stato ascoltato. “Capisco la famiglia che vuole giustizia, non credo che Mauro fosse pericoloso altrimenti non sarei andato lì, le cose non dovevano andare così, io non gli avrei sparato, ma in certe situazione bisogna trovarsi”.

Il processo

Billeci non è mai stato sentito dai giudici. Le sue parole arrivano alla vigilia dell’udienza della corte d’Appello che il 23 febbraio si esprimerà sulla richiesta di risarcimento avanzata dalla famiglia nei confronti del carabiniere Marco Pegoraro. Filippo Billeci è un maresciallo dei carabinieri molto stimato nell’Arma di Padova. Le sue doti professionali e umane sono riconosciute non solo tra i colleghi, ma anche dagli amministratori e dai cittadini delle piccole comunità in cui ha lavorato. Oggi Billeci è in servizio a Battaglia Terme (suoi gli input per le indagini sugli illeciti legati alla gestione migranti che nel 2016 avevano portato ad indagare anche sulla Prefettura di Padova, portando a processo un funzionario), ma per molti anni è stato comandante della stazione di Carmignano di Sant’Urbano. Mauro Guerra e la sua famiglia abitavano a 100 metri dalla stazione dei carabinieri in cui lavorava Billeci. Lo stesso Guerra vedeva in lui un amico per questo il giorno della tragedia Billeci è stato chiamato a casa dei Guerra per parlare con Mauro che non voleva andare in ospedale con i carabinieri.

Il comandante dei carabinieri

Si sperava che il suo intervento fosse d’aiuto per convincere il 32enne. “Quando ero in servizio lì avevo spesso rapporti con Mauro, era un ragazzo particolare, con la famiglia aveva avuto qualche problema ma non è mai stato pericoloso – spiega Billeci – quel giorno le cose sono andate come non dovevano, era un ragazzo particolare aveva avuto una vecchia storia con la giustizia (una denuncia per stalking, ndr), non voglio giudicare nessuno, tantomeno il collega Pegoraro, perché non mi sono trovato nelle condizioni in cui era lui, so che chi fa qualcosa se ne prende la responsabilità, sinceramente io non avrei sparato – e aggiunge – se fossi salito sul banco dei testimoni durante il processo avrei detto queste stesse parole”. Billeci non è mai stato sentito in aula, le sue dichiarazioni sono a verbale come quelle di tanti altri suoi colleghi.

Le ultime ore di Mauro

Il 29 luglio 2015 Mauro Guerra venne raggiunto a casa da una decina di carabinieri, il comandante Marco Pegoraro aveva stabilito che il giovane fosse pericoloso, in aula è stato detto che fu la famiglia di Mauro a chiedere l’intervento dell’Arma, circostanza che la famiglia ha sempre negato. I carabinieri passarono tre ore in casa Guerra, sotto il torrido caldo estivo, cercando di convincere il 32enne a seguirli, ma lui si rifiutava. Infine, dopo che i militari avevano pure tentato di dargli un calmante “nascosto” nella coca cola, il 32enne in mutande ha cominciato a fuggire di corsa a piedi scalzi. Dieci militari lo hanno inseguito, lungo i campi di Carmignano, uno di loro, Stefano Sarto, lo ha raggiunto e ha tentato di stingergli le manette ai polsi. Guerra ha cominciato a picchiarlo, il carabiniere Pegoraro gli ha sparato temendo per la vita del collega. Mauro morirà a terra con un proiettile a trafiggergli il fianco, Stefano Sarto se la caverà con un cerotto sulla fronte.

«Chiediamo giustizia»

La famiglia Guerra da tempo chiede giustizia: “La morte di mio figlio doveva essere evitata, parole come quelle di Billeci confermano che quella dei carabinieri quel giorno è stata un’azione maldestra e arbitraria, che va punita” dice la mamma di Mauro Guerra, Giuseppina Businaro. Sul caso è intervenuto anche il presidente nazionale di Amnesty international Riccardo Noury, che ha sempre seguito il caso e che sul blog del Corriere della Sera scrive: “Ci sono nuove dichiarazioni e c’è una famiglia che chiede giustizia, questa intervista al maresciallo Billeci può cambiare le cose”. Il caso di Mauro Guerra è diventato anche un documentario dal nome “Le Regole di Arnold per il successo” del regista bolognese Dario Tepedino, che a breve verrà presentato anche in alcune scuole.

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