Carabinieri

LE NUOVE FORZE SPECIALI ANTI TERRORE: API «BLINDATE» E SOS PER I CARABINIERI E UOPI PER LA POLIZIA

«Esercitazione. C’è stata un’esplosione all’esterno del cancello 8. Esercitazione». Il funzionario comunica alla centrale che un kamikaze s’è fatto saltare all’esterno dello stadio di San Siro. Tutte le conversazioni via radio sono precedute e seguite appunto dalla parola «esercitazione». È una prassi che si seguirà per tutta la serata, perché si tratta di una simulazione di attentato ma le comunicazioni che seguiranno saranno tutte reali, come se Milano fosse sotto attacco. Come quando, pochi minuti, lo stesso funzionario comunicherà che il livello di sicurezza in tutto il Paese è stato elevato ad «attacco terroristico in corso».

Quella di mercoledì sera a San Siro e in piazza Gerusalemme (attacco chimico alla metropolitana) è stata un’occasione unica per vedere in azione le nostre forze di sicurezza nel caso (sperando non accada mai) di un attacco terroristico sul modello di quelli avvenuti a Parigi e Bruxelles. Qui il 28 maggio si terrà la finale di Champions League.

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  • Le nuove forze speciali anti terrorismo

L’attacco scatta alle 20.53. Un quarto d’ora prima un’esplosione ha colpito la metropolitana Lilla. A San Siro si fa esplodere un kamikaze (la simulazione avviene con lo scoppio di un petardo) e alcuni terroristi armati di Kalasnikhov sparano sulla folla, prendono due ostaggi e si asserragliano nelle biglietterie. In realtà si tratta di carabinieri, ma imbracciano riproduzioni del famoso mitra Ak47. Il primo a dare l’allarme è il dirigente della polizia che sta coordinando il dispositivo di ordine pubblico previsto durante i match di San Siro. Coordinata dal prefetto Alessandro Marangoni, si riunisce l’unità di crisi con il questore Antonio De Iesu e il comandante provinciale dell’Arma Canio Giuseppe La Gala. La prima squadra ad intervenire è la Sos dei carabinieri che già si trova nel piazzale dello stadio come da prassi. Con un blindato circoscrive l’area. Tre minuti dopo arriva un’auto blindata. Sono i carabinieri delle Api, le aliquote di pronto intervento. Si piazzano dietro la vettura e ingaggiano un pesante conflitto a fuoco con i terroristi. Api e Sos sono squadre speciali in grado di sostenere il fuoco dei Kalasnikhov che normalmente pattugliano le nostre strade insieme alle auto del radiomobile e alle volanti. Sono state create, così come le Uopi della polizia, dopo gli attentati di Parigi. Addestramento severissimo, coraggio e grande preparazione. Sono la prima linea delle forze antiterrore.

Nel frattempo la città si riempie di posti di blocco e pattuglie per impedire la fuga del commando e intervenire in caso di un nuovo attacco in altre zone. É a questo punto che interviene una squadra chiave per gestire l’emergenza, quella dei negoziatori. Si tratta di personale che ha un addestramento specifico per «trattare» con il commando. Servono grande esperienza e competenza. A Milano i carabinieri possono contare su due marescialli del nucleo investigativo supportati dal comandante Michele Miulli. Sono loro a stringere un contatto con i terroristi. La trattativa avviene via telefono: «Una condizione non ideale, meglio poter osservare i movimenti e lo stato d’animo del gruppo. Ma uno scenario reale», spiega il generale Vincenzo Coppola comandante interregionale dei carabinieri che assiste all’esercitazione insieme al comandante della Legione Teo Luzi e al colonnello Giuseppe Spina (Brescia). I jihadisti chiedono auto blindate e un aereo pronto a partire da Linate. L’ultimatum scade alle 23 ma quaranta minuti dopo il negoziatore comunica che «la negoziazione non può proseguire oltre. Intervenite».

È lui, infatti, in quel momento a «valutare autonomamente» se è ora di intervenire, perché nonostante non sia il più alto in grado, la sua parola (e la sua sensibilità) hanno la priorità. Scatta il blitz. I terroristi non si arrendono e vengono «eliminati» dal fuoco dei Gis, i corpi speciali dei carabinieri. L’azione dura 30 secondi: flash bomb per distrarre il commando e raffiche di fucili d’assalto per farsi largo nella struttura occupata. Gli ostaggi sono al sicuro. L’esercitazione si conclude con la bonifica dell’area e il soccorso alle vittime.

«Siamo soddisfatti – spiega il generale Coppola —. Era fondamentale testare alcune procedure e questo ci permetterà di migliorare ancora dove necessario. Lo scenario è stato il più reale possibile. In caso di attacco abbiamo altre risorse che però non abbiamo usato perché è giusto che rimangano segrete. E speriamo di non doverle mai utilizzare».

di Cesare Giuzzi per il Corriere.it

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