La giustizia arriva dopo 7 anni: ‘Nessun intento di truffare’, assolto l’ex comandante dei Carabinieri di Fragagnano
Dopo sette lunghi anni tra indagini, udienze e perizie tecniche, si è conclusa con una sentenza definitiva di assoluzione la vicenda giudiziaria che ha coinvolto un luogotenente dei Carabinieri, all’epoca dei fatti comandante della stazione dell’Arma di Fragagnano, in provincia di Taranto. Il verdetto, pronunciato dalla Corte Militare d’Appello di Roma e divenuto ormai irrevocabile, conferma quanto già stabilito in primo grado dal Tribunale Militare di Napoli: il luogotenente non ha commesso alcun reato.
Un’accusa pesante e una lunga battaglia legale
Il Luogotenente era stato imputato per truffa militare pluriaggravata, con l’accusa di aver alterato, con raggiri e artifici, i moduli “SUP 2” relativi alle indennità di servizio. Secondo la Procura militare di Napoli, queste presunte falsificazioni gli avrebbero consentito di ottenere indebite maggiorazioni economiche rispetto a quanto dovuto. Una contestazione pesante, che ha segnato profondamente la carriera e la vita personale del sottufficiale.
Ma sin dall’inizio del procedimento, la linea difensiva ha puntato a dimostrare l’assenza di dolo, ovvero l’intenzione di truffare. Un punto chiave, che è stato pienamente accolto dai giudici, al termine di un lungo esame documentale e di diverse testimonianze.
Il contesto amministrativo caotico e l’errore sistemico
Il tribunale ha riconosciuto come il comportamento del luogotenente fosse stato condizionato da un contesto gestionale disordinato, causato dall’introduzione di un nuovo sistema informatizzato per l’attestazione dei servizi, introdotto proprio durante il suo periodo di comando. Un sistema che si è rivelato complesso, privo di supporto tecnico e senza alcuna formazione specifica per i militari incaricati.
Decisiva è risultata l’audizione di altri sottufficiali che avevano preceduto il comandante nel medesimo incarico, i quali hanno confermato le gravi criticità del software e i frequenti disallineamenti tra i dati digitali e quelli cartacei, che avrebbero dovuto certificare i servizi realmente svolti. La gestione manuale e quella digitale risultavano spesso in conflitto, con evidenti margini di errore non rilevati dalla catena gerarchica né da organi di controllo interni.
Errori da ambo le parti e un sistema senza sorveglianza
Non solo. Dall’istruttoria è emerso anche un quadro più ampio: alcune attività svolte non risultavano registrate, mentre in altri casi si segnalavano sovrastime involontarie. In sostanza, si è accertato che l’eventuale vantaggio economico per i militari era sporadico e compensato da altri episodi in perdita. Il principio alla base dell’accusa, ovvero l’illecito arricchimento, viene così a cadere.
La Corte ha quindi stabilito che non vi è stata alcuna verifica reale sull’effettiva esecuzione dei servizi dichiarati, e che mancando il dolo, non sussiste il reato. I giudici hanno parlato apertamente di “generale inefficienza di sistema”, con anomalie diffuse che non potevano essere imputate al singolo.
Una sentenza che chiude un incubo e apre riflessioni
Per il luogotenente si chiude così un lungo incubo giudiziario, fatto di sospetti, accuse infamanti e incertezze professionali. Ma la vicenda lascia anche spunti di riflessione amari, soprattutto sulla fragilità dei meccanismi interni delle Forze Armate e sulla necessità di strumenti di controllo più efficaci, trasparenti e tecnologicamente adeguati.
L’assoluzione definitiva ristabilisce la reputazione di un servitore dello Stato, ma chiama anche in causa una responsabilità più ampia: quella delle istituzioni nel garantire chiarezza operativa, supporto tecnico, e verifiche imparziali, affinché errori di sistema non si trasformino in drammi personali.
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