“Da questa caserma non deve uscire niente”: condannati 22 carabinieri per abusi e violenze. Quasi 70 anni di carcere
Una sentenza che scuote profondamente il Paese: nella giornata del 28 aprile 2025, il tribunale di Massa ha condannato in primo grado 22 carabinieri della caserma di Aulla, in Toscana, per una lunga serie di reati gravi e sistematici, tra cui lesioni personali, violenza sessuale, falso in atto pubblico, sequestro di persona, porto abusivo di armi e abuso d’ufficio. La pena più alta, 9 anni e 8 mesi, è stata inflitta al comandante del gruppo.
Il totale delle pene comminate è di quasi 70 anni di carcere, e fa luce su una vicenda che ha origine nel 2011, con un primo esposto da parte di un cittadino straniero, e che ha poi portato alla scoperta di oltre cento episodi di violenza e soprusi, ai danni sia di italiani che di stranieri.
Un’indagine lunga più di un decennio
Tutto ha avuto inizio da un esposto presentato nel 2011 da un cittadino di origine marocchina che denunciava maltrattamenti subiti nella caserma. Dopo anni di silenzi, nel 2017 un secondo esposto ha dato slancio a un’indagine più ampia, portando la magistratura ad autorizzare intercettazioni telefoniche e ambientali.
Secondo gli inquirenti, i reati emersi non sono episodi isolati, ma il risultato di un sistema organizzato e ripetuto nel tempo. I capi d’imputazione complessivi sono 189, segno di una condotta protratta e condivisa da più soggetti.
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Intercettazioni e una cultura del silenzio
Tra i materiali più gravi emersi dalle indagini figurano le intercettazioni ambientali, in cui alcuni dei carabinieri parlano apertamente della necessità di mantenere il silenzio:
«Quello che succede all’interno della caserma non deve uscire. È cosa nostra, proprio come la mafia.»
Abusi sessuali, razzismo e violenze gratuite
Le testimonianze raccolte raccontano di persone fermate e picchiate, minacciate con armi, multate senza motivo, sottoposte a perquisizioni corporali non giustificate e vittime di violenze sessuali. Un caso riguarda una perquisizione rettale eseguita senza fondamento legale.
Anche cittadini che si erano recati in caserma solo per il rinnovo dei documenti raccontano di aver subito umiliazioni fisiche e verbali.
Le intercettazioni riportano anche frasi a sfondo razzista, come:
«Sono scimmie», «devono mangiare banane», «mi fa schifo toccare i marocchini perché puzzano».
Un caso che ricorda la caserma Levante
Le dinamiche emerse nella caserma di Aulla ricordano da vicino il caso della caserma Levante di Piacenza, dove nel 2020 fu sequestrata l’intera struttura e sette militari vennero arrestati. Tuttavia, in questo caso, il numero di carabinieri coinvolti è tre volte maggiore, suggerendo un fenomeno ancora più esteso e strutturato.
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Reazioni e prossimo appello
Nel corso dell’inchiesta non sono mancate prese di posizione pubbliche in favore degli imputati, anche da parte di esponenti politici locali e nazionali. Alcuni hanno parlato di un presunto complotto orchestrato da cittadini stranieri ai danni delle forze dell’ordine.
La difesa ha annunciato ricorso in appello, contestando la validità delle intercettazioni e sostenendo che le testimonianze non siano sufficientemente credibili.
Nel frattempo, la pubblicazione delle motivazioni della sentenza è attesa entro 90 giorni, mentre il caso continua a far discutere.
Non una condanna all’Arma, ma a chi l’ha disonorata
Questa vicenda non è un attacco alle forze dell’ordine, né una sentenza contro l’Arma nel suo insieme. È, piuttosto, una condanna esemplare contro chi ha abusato della divisa (almeno basandosi sulla sentenza di primo grado), tradendo il giuramento di servire lo Stato con disciplina e onore.
In Italia, la stragrande maggioranza delle donne e degli uomini in divisa svolge il proprio lavoro con impegno, sacrificio e spirito di servizio, anche in condizioni difficili, spesso in silenzio e senza clamore. Sono loro a pagare il prezzo più alto quando pochi tradiscono tutti.
Ed è proprio per difendere il valore e la credibilità delle forze dell’ordine che episodi come quello di Aulla devono essere portati alla luce e affrontati con rigore. Perché chi sporca l’uniforme, infanga anche chi la indossa con orgoglio.
La giustizia, in questo caso, non ha colpito l’Arma, ma ha provato a proteggerla, separando chi ha confuso il potere con l’impunità da chi, ogni giorno, difende la legalità e i diritti di tutti.

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