Guardia di Finanza

Intascò una mazzetta da mille euro per comprare un telefonino: condannato un finanziere

Aveva preteso mille euro per comprare un telefonino nuovo – visto che il suo si era rovinato per il troppo “travagghiu” durante le indagini – per chiudere in maniera semplice e “conveniente per tutti” un’inchiesta su tentativo di truffa commesso da una coppia ai danni di un uomo con un finto incidente stradale. Pietro Corrao, 62 anni, all’epoca dei fatti, nel maggio 2020, maresciallo aiutante della guardia di finanza in servizio al Secondo nucleo operativo metropolitano di Palermo, è stato condannato con il rito abbreviato per istigazione alla corruzione a un anno e 4 mesi di reclusione. Il militare venne arrestato in flagranza dai suoi stessi colleghi, dopo che la vittima gli aveva appena consegnato una busta con mille euro.

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La sentenza è stata emessa qualche mese fa dalla sesta sezione della Cassazione, ma PalermoToday l’ha appreso soltanto adesso. I giudici hanno riqualificato il reato e ridotto lievemente la pena rispetto a quella inflitta all’imputato nei due gradi di giudizio precedenti, ovvero un anno e 8 mesi, ma hanno confermato il risarcimento di 5 mila euro già riconosciuto alla vittima, che si è costituita parte civile.

E proprio dalla denuncia della vittima era partita l’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dal sostituto Claudia Ferrari, su Corrao: l’uomo si era infatti presentato alla stessa guardia di finanza per consegnare ai militari una conversazione avvenuta con l’imputato. “Io da quello che ho capito la signora l’ho trovata un po’ debole e forse ha capito che ha sbagliato e mi fece pure capire che vorrebbe riparare, lei quanti piccioli… Ipotesi: lei quanto vorrebbe per rimettere la querela? La signora gliela facciamo accettare, così contento lei contenti tutti, quanto potrebbe volere lei?”, questo diceva Corrao, riferendosi al fatto che la donna coinvolta nel tentativo di truffa avrebbe pagato purché la vittima non procedesse contro di lei e il marito. E il finanziere, a cui era stata affidata l’indagine, voleva naturalmente il suo tornaconto per il “favore”, questa l’ipotesi che ora ha trovato conferma con la sentenza definitiva.

“Allora facciamo una cosa – proponeva ancora il militare – siccome giustamente avi che combatte lei per un mese, è un mese ci travagghiu pure io, lei stasera chiami questo numero, è il marito… Le cose sono due: o fate un appuntamento e ci vediamo qua e parliamo un attimo tutti e tre o ve la vedete voi… Allora io ci ricissi di fare una cosa, lei ci dice 5 mila, danni 3.800 (i danni riportati dall’auto della vittima nel tentivo di truffa, ndr), più l’avvocato, altre spese… A me si è rotto pure il telefono, mi servirebbe pure il telefono, questo costa mille euro e ci rici 5 mila euro… 4 mila si mette in sacchetta lei” e il resto lui.

Il finanziere spiegava pure all’uomo che lo ha denunciato come comportarsi: “Però lei deve essere un professionista, lei ci dice: ‘Io conosco la legge, vabbè, capisco i momenti, nella vita tutti sbagliano…’, queste cose lei me le insegna, è un professore, lei rimane contento, perché parliamoci chiaro: a questi li mandiamo sotto processo, facciamo finta che sono condannati, i soldi quando li vediamo? Lei qua stesso con me fa la remissione di querela, rimette la querela fin quando c’ho le carte io, meglio così… Così lei ha avuto la sua soddisfazione – chiosava l’imputato – le chiederanno pure scusa, lei si acchiappa i piccioli e perdoniamo”.

L’imputato era poi cascato nella trappola ordita dai suoi stessi colleghi e subito dopo la consegna di una busta con mille euro, trovata accanto alla sua scrivania, a maggio 2020, per lui era scattato l’arresto. Corrao ha sempre respinto le accuse, sin dal suo interrogatorio: “Io non ho neanche guardato la busta, quindi io pensavo ci fosse una quietanza – spiegò al gip – il rendiconto delle spese sostenute, non mi sono posto il problema della busta”. Di fronte alla conversazione registrata dalla vittima aveva poi detto: “Io facevo dell’ironia, io ho due cellulari che sono in perfette condizioni…”. I giudici non gli hanno mai creduto.

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