Carabinieri

Il ricordo del maresciallo Di Gennaro. Era religiosissimo, aveva da poco comprato casa. Il padre: «Sono orgoglioso di mio figlio». Il capitano: «Era una persona buona con tutti»

«Sapete, don Andrea, il mio petto ora è gonfio d’orgoglio», dice il signor Luigi, 84 anni, il papà del maresciallo Vincenzo Di Gennaro. E’ quanto scrive Fabrizio Caccia per il Corriere.it.

“Nella casa di via Michele Zannotti, a San Severo, il signor Luigi, contadino in pensione, ha appena ricevuto la telefonata del comandante generale dell’Arma, Giovanni Nistri. «Sono orgoglioso», confida il vecchio padre, dopo la telefonata, a don Andrea Tirelli, parroco della vicina chiesa di San Bernardino, che lo è andato a trovare, «perché mio figlio Vincenzo è morto sul campo, facendo il suo dovere. Lui era amatissimo a Cagnano Varano, in tanti gli volevano bene. Adesso, però, caro don Andrea, si è fatto tardi, mi devo ritirare. Passi da me nei prossimi giorni. Voglio ricevere l’unzione degli infermi. Sapete, già soffro di cuore e dopo la morte di mia moglie e adesso pure di mio figlio, è diventato un dolore troppo grande da sopportare. E io voglio morire in pace».

Il ricordo

Nella parrocchia di San Bernardino se lo ricordano in tanti, il maresciallo Di Gennaro. Da ragazzo faceva parte del Gruppo Scout, il San Severo 3. Ma, religiosissimo, aveva continuato a frequentare la chiesa anche dopo aver iniziato la carriera militare, nel ‘95, a 23 anni. Dopo il biennio per allievi marescialli, ecco la prima destinazione: stazione di Mirto Crosia, Cosenza, nel ‘97. Ci resterà dieci anni, fino al 2007, quando arriva la nuova sospiratissima nomina, Cagnano Varano, Foggia, appena 50 chilometri da casa.

Le visite al padre

Così, ogni volta che era libero dal servizio, il maresciallo Di Gennaro tornava a San Severo a fare visita all’anziano genitore rimasto solo (la moglie Lucia era morta nel 2013, l’altra figlia Elena fa l’insegnante a Roma) e ad abbracciare la fidanzata, Stefania Gualano, estetista. Insieme a lei Vincenzo aveva mille progetti: innanzitutto quello di sposarsi e poi andare a vivere in una casa da poco acquistata, facendo i sacrifici col suo stipendio di 2 mila euro, nella zona della Divina Provvidenza.

Il capitano Carlo Venturini, 32 anni, comandante della compagnia di Vico del Gargano, da cui dipende Cagnano, ha ricordi limpidissimi di lui: «Vincenzo era devoto alla sua famiglia, all’Arma, a Padre Pio e alla Juventus…», dice il capitano che dopo tante lacrime versate ora accenna un sorriso, accarezzando il ricordo di quell’ultima mattina in cui si erano visti di persona. La mattina del 13 marzo scorso, dopo la notte Champions di Juve-Atletico Madrid finita 3 a 0 con la tripletta di Cristiano Ronaldo.

«Vincenzo era al settimo cielo», racconta Venturini, ex capo del nucleo operativo radiomobile di San Giovanni Rotondo, che in queste ore sta ricevendo da decine di colleghi dell’intera regione testimonianze commoventi sul maresciallo Di Gennaro: «Si spendeva per gli altri», racconta il capitano. «Era il confessore del paese. Una vecchietta di Cagnano Varano lo andava spesso a trovare perché diceva che di notte vedeva un fantasma e allora lui stava lì per intere mezz’ore a rassicurarla. In caserma, con Vincenzo, erano in nove, di cui tre carabinieri giovanissimi: a loro, si può dire, ha fatto da padre».

Un carabiniere buono e operativo

Era un carabiniere buono, ma anche molto operativo. A settembre scorso aveva diretto un maxi sequestro di quasi un quintale di marijuana; a febbraio poi aveva partecipato all’operazione «Far West», un colpo durissimo inferto alla nuova mafia del Gargano, specializzata in bombe, armi e droga. Ma quando tornava in borghese, il maresciallo Di Gennaro, da uomo normale prendeva la macchina e se ne andava a pregare al santuario di Padre Pio a San Giovanni Rotondo oppure a Vieste insieme a Stefania a mangiare‘o ciambott, la zuppa di pesce locale. Ieri, dopo il martirio, i suoi colleghi hanno coperto con il tricolore l’auto di servizio dentro cui è stato ucciso: «Perché quella bandiera», piange, il capitano Venturini, «lo rappresentava».

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