Difesa

Il Generale Vannacci era già nel mirino? Esposto sul Contingente Italiano in Iraq e le Accuse al COI

Il contenzioso in corso in questi giorni tra il generale Roberto Vannacci e i vertici dell’Esercito italiano ha origini lontane, risalenti ad almeno 4 anni fa. È il 13 marzo del 2019 quando Vannacci firma un esposto, inviato sia alla Procura di Roma che alla Procura presso il Tribunale militare della capitale, che ha come oggetto la sicurezza dei militari del contingente italiano di stanza a Baghdad, che l’alto ufficiale ha comandato dal settembre 2017 al 1° agosto 2018.

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Origini dell’Contenzioso: L’Esposizione all’Uranio Impoverito

Tra i temi sollevati nel documento, se ne trova uno particolarmente critico, tornato recentemente di attualità nelle cronache della guerra tra Russia e Ucraina: l’uranio impoverito.

Già dalle premesse del corposo documento, Vannacci non usa mezzi termini: «Durante il mio impiego, peraltro: riscontravo che l’intero Contingente – per tutto il periodo precedente al mio ingresso in Teatro Operativo – era stato continuativamente esposto all’uranio impoverito, impiegato nei precedenti conflitti e massicciamente in tutta l’area sin dal 1991, senza che alcun provvedimento di prevenzione e mitigazione dei rischi fosse stato attuato sino alla data del 08 maggio 2018 e senza che alcuna formazione/informazione riguardo lo specifico rischio fosse stata impartita al personale del Contingente» impegnato nell’Operazione Prima Parthica.

Accuse del Generale Vannacci e le Controversie sul COI

E ancora: «In tale contesto, riscontravo che il Comando superiore, ovvero il Comando operativo di vertice Interforze (Coi) […] aveva proceduto alla pianificazione, allo schieramento e alla progressiva occupazione delle basi nelle quali si era articolato nel tempo il dispositivo militare italiano in Iraq, senza effettuare le necessarie, peculiari ed approfondite caratterizzazioni ambientali volte a rilevare l’eventuale presenza di uranio impoverito, nonché ad accertare olisticamente la salubrità generale delle aree stesse, omettendo così, contestualmente, di informare il personale militare degli specifici rischi ambientali».

Detto in parole povere, secondo le accuse di Vannacci, nonostante i casi di militari statunitensi affetti dalla cosiddetta «Sindrome della guerra del Golfo» e soprattutto di quelli italiani che avevano partecipato alla missione in Kosovo, colpiti dalla «Sindrome dei Balcani», non sarebbe stata adottata nessuna precauzione.

Eppure, secondo molti esperti, entrambe le sindromi, collegate a molti casi di leucemia fulminante tra i militari, sarebbero da attribuire all’uranio impoverito. Il cui uso, nel lontano 2001 era stato definito da Carla Del Ponte, all’epoca a capo del Tribunale penale per la ex Jugoslavia, un possibile crimine di guerra.

Ricevendo a tempo di record una smentita attraverso uno studio commissionato dal suo predecessore, Louise Arbour, nel quale si affermava che non esiste un trattato ufficiale sul bando delle armi all’uranio impoverito, né leggi internazionali che le vietino espressamente.

Aneddoti lontani nel tempo, che spiegano però la delicatezza della materia e quanto […] possano essere state deflagranti le accuse messe nero su bianco da Vannacci. Che in caso di eventuali richieste di risarcimento per morti sospette di militari che hanno prestato servizio in Iraq, sarebbero un facile appiglio per sostenere anche la negligenza dei vertici militari.  […]

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La Risposta del COI e le Tensioni con il Generale Vannacci

In tutta risposta alla segnalazione di Vannacci dell’8 maggio 2018, il Coi avrebbe inviato al generale un documento classificato «firmato d’ordine dal generale di divisione Gaetano Zauner (Capo di Stato maggiore del Coi)» nel quale […] si «accusava che lo scrivente non si fosse attenuto alle disposizioni emanate […] che disponeva che le comunicazioni dai Teatri Operativi contenenti “criticità” (fra cui, evidentemente, si annovera, a parere del Coi, quella del rischio di esposizione dei militari/lavoratori all’uranio impoverito,[…]) fossero rappresentate con messaggistica classificata ad un livello minimo di Riservato».

In una successiva comunicazione, anch’essa riservata, il Coi spiegava «di aver richiesto al teatro iracheno in 2 particolari occasioni, con specifico riferimento al potenziale rischio di esposizione all’uranio impoverito, la segnalazione di possibili rischi ambientali». Secondo il generale però «tale affermazione risulterà non corrispondente alla reale circostanza come il sottoscritto riporterà nella lettera […]); che non sussistessero, allo stato, indicazioni/informazioni e/o documenti che attestassero come certa la presenza di uranio impoverito in Iraq richiedendo contestualmente al sottoscritto, al fine di attivare correttamente tutte le misure previste dalla normativa di settore, di voler trasmettere ogni atto utile al riguardo, a riprova della sussistenza della situazione di criticità ambientale di tipo radioattivo».

Per Vannacci, la «riprova quindi che, ogni misura prevista dalla normativa di settore risultava assolutamente inattivata per tutto il periodo precedente la mia segnalazione, a partire dallo schieramento della missione Prima Parthica».

Nei giorni scorsi alcuni organi d’informazione hanno ipotizzato che i vertici militari, a partire dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, attuale capo di Stato maggiore della Difesa, puntassero alle dimissioni di Vannacci e che ci sia stata una «moral suasion» da parte del governo, ma la notizia non è stata confermata. Quello che è certo però è che Vannacci aveva scelto da tempo posizioni scomode, in aperto contrasto con i suoi superiori, a partire proprio da Cavo Dragone, che nel periodo in cui Vannacci era di stanza in Iraq era al vertice di quel Coi che il generale tira in ballo pesantemente, non sappiamo se a torto o a ragione, nel suo esposto. Un contrasto che adesso sembra essere arrivato al redde rationem.

Estratto dell’articolo di François de Tonquédec per “La Verità” e Dagospia.

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