Carabinieri

G8 Genova, papà Carlo Giuliani: “Mio figlio e Placanica entrambi vittime. Responsabile chi comandava”

“Su quel G8 molte cose sono state già dette, anche se purtroppo per qualcuno non sono servite, ma c’è ancora tanto da ripetere, e cioè che ci sarebbe stato bisogno di avere dignità in un processo, invece di una iniziale sporca archiviazione decisa per togliere di mezzo la cosa più grave accaduta a Genova, e poter poi dire che alla scuola Diaz c’era stata una perquisizione legittima e nella caserma di Bolzaneto si distribuivano caramelle e cioccolatini. E questo è andato avanti per anni, fino a quando è emersa la capacità e il coraggio di grandi magistrati, perché per fortuna non ce ne sono solo di indecorosi e indegni di esercitare quella nobile professione. Ed Enrico Zucca è uno di quelli coraggiosi, si è battuto e finalmente, 11 anni dopo, nel 2012, si è arrivati a una sentenza della Cassazione che ha affermato che ciò che accadde alla Diaz aveva prodotto il degrado dell’onore dell’Italia nel mondo. Per i fatti della Diaz, dopo le assoluzioni in primo grado, è stata fatta giustizia”. Così all’AdnKronos, a 20 anni dal G8 di Genova, Giuliano Giuliani, padre di Carlo, il giovane che il 20 luglio del 2001 venne ucciso dal carabiniere ausiliario Mario Placanica.

“È vero – aggiunge Giuliani – che ci sono tre gradi di giudizio nel nostro ordinamento proprio per eliminare qualche errore, ma insomma, tra perquisizione legittima e degrado dell’onore dell’Italia nel mondo…o quelli della Cassazione sono dei pazzi furiosi oppure i giudici di primo grado sono degli esseri indegni. Propendo per questa seconda ipotesi”.

Giuliani poi si sofferma sulla morte di Carlo e su Placanica. “In qualche modo sono entrambi delle vittime – dice – anche perché io, se devo fare l’elenco dei responsabili dell’omicidio di Carlo, Placanica lo colloco all’ultimo posto. Al primo ci sono quelli che comandavano quel reparto, i due carabinieri ufficiali, che poi hanno fatto una carriera spettacolosa, e il vicequestore che per la polizia ‘associava’ il reparto. Perché la domanda ovvia è questa: se la camionetta viene assaltata, per usare una parolona, da cinque, sei, sette ragazzi, è possibile che a nessuno di quelli che comandavano sia venuto in mente di dire ai cento carabinieri che stavano a 10 o 15 metri di distanza, ‘andiamo a difenderla’? E allora i primi responsabili dell’omicidio di Carlo sono proprio coloro che comandavano quel reparto”.

Per molti, i fatti della Diaz e di Bolzaneto, e la morte di Carlo Giuliani, hanno avuto come effetto anche la rimozione del ricordo delle violenze dei manifestanti a Genova. “È una stupidaggine alla quale, purtroppo, si erano beati di credere anche un po’ di persone dell’informazione – osserva Giuliano Giuliani -, perché la città è stata messa a ferro e fuoco da gruppetti di due o tre persone alla volta, i cosiddetti Black Bloc, che vengono lasciati liberi di farlo. Ci sono le telefonate, non soltanto della polizia e dei carabinieri, ma di moltissimi cittadini che denunciano questa cosa e che allarmati e anche un po’ arrabbiati indicano dove si trovano i violenti, ma poliziotti e carabinieri, a poca distanza, non intervengono. L’ordine era di lasciarli fare perché così aumentava nella popolazione, molto ingenua e in qualche caso persino stupida, la convinzione che quelli fossero i violenti che avevano organizzato le manifestazioni. E a nessuno è venuto in mente di dire che un indegno reparto che attaccò senza nessuna ragione il corteo delle Tute bianche, che era autorizzato e non aveva fatto assolutamente nulla di illecito. Un chilometro prima che arrivasse a Brignole venne assaltato, e lì cominciarono i disastri che portarono all’assassinio di Carlo”.

Ma cosa direbbe il papà di Carlo a Mario Placanica, se lo incontrasse oggi, a 20 anni di distanza?

“Non gli direi assolutamente niente – afferma -, per carità, non voglio fare questi incontri, la cosa non mi interessa. Io vorrei soltanto che i responsabili rispondessero finalmente delle loro colpe, e invece non è così. Sono tutti stati promossi. C’è persino un ufficiale che in un processo ai manifestanti è venuto a testimoniare parlando di ‘guerra’. L’avvocato lo ha interrotto facendogli notare che non si parla di guerra, ma di ordine pubblico, e l’ufficiale è arrivato a dire che ‘guerra’ e ‘ordine pubblico’ sono la stessa cosa e cambiano solo gli strumenti dell’offesa. Ecco, quest’ufficiale non è stato sottoposto a un esame psichiatrico, no, è stato promosso. Così come molti dei condannati. Voglio ricordare che uno dei presidenti del Consiglio che passò per essere una delle persone più sobrie, parlo di Mario Monti, nominò uno di quelli responsabile all’interno del ministero. Robe penose, molto penose, che testimoniano di uno Stato che deve fare ancora tanta strada per essere uno Stato degno di questo nome”.

PLACANICA: “NON SONO UN GIUSTIZIERE” – “Quel giorno per me resta un trauma, trauma per la morte di un ragazzo come me, anche lui vittima in quel giorno tragico. Io non sono un carnefice, non sono un giustiziere. Quel giorno io non avevo la pistola per Mario Placanica, ce l’avevo per l’Arma dei carabinieri, per lo Stato italiano”. A dirlo all’AdnKronos è l’ex carabiniere ausiliario Mario Placanica, che il 20 luglio del 2001, durante il G8 di Genova, sparò e uccise Carlo Giuliani. È di poche settimane fa la pubblicazione del libro “Mario Placanica, il carabiniere distrutto dall’‘atto dovuto’”, scritto dal carabiniere in congedo Andrea di Lazzaro (che ne è anche l’editore), co-autore lo stesso Placanica.

“Quel giorno le cose si erano messe male – racconta Placanica all’AdnKronos –, l’unico mezzo che avevo per allontanare chi ci stava aggredendo era la pistola. Io mi ritengo assolto, perché non ho sparato prendendo la mira. Io sono un bravo ragazzo, non un giustiziere. E forse lo era anche Carlo Giuliani. Io non ho colpe, non me le sento addosso, ma sono stato trattato peggio di Riina. Ma io ero un appartenente allo Stato, non ero Riina. Mi sono sentito abbandonato, nessun superiore ha salvaguardato il mio essere carabiniere, c’è stato solo silenzio. Mi sono sentito una pedina”. Placanica, poi, si commuove: “Io provo dolore, provo dolore perché quella divisa ancora sogno di portarla addosso. Ero gli ultimi degli ausiliari, ma quella fiamma me la sento accesa, ero motivatissimo”.

“Vorrei incontrare il papà di Carlo – confessa – per dirgli che mi dispiace, che io li sostengo. Anche se molti mi criticano dicendo che non posso sostenere chi ha cercato di ammazzarmi. Ma io sostengo la famiglia, perché nessuno sa che significa perdere un figlio”. (Adnkronos)

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