Vigili Del Fuoco

DOPO UNA VITA DA PRECARIO TROPPO VECCHIO PER LA RAFFERMA. VIGILE DEL FUOCO SI TOGLIE LA VITA

(di Paolo Salvatore Orrù per Tiscali Notizie) – “La precarietà uccide e questa volta ha ucciso un collega che prestava servizio a Brescia!”, ha scritto nella sua bacheca l’Unione Sindacale di Base del vigili del fuoco (USB). Lo ha fatto non solo per ricordare la tragica morte di Fabio De Muro, il pompiere del fuoco di 41 anni di Quagliano (Na) che si è tolto la vita dopo otto anni di precariato passati a Brescia, ma anche per ricordare a chi già dovrebbe sapere che il precariato uccide. Il corpo del vigile è stato trovato alla periferia di Qualiano (Na), non lontano dalla stazione degli autobus. De Muro ha lasciato un biglietto (trovato dai militari in un’auto) con cui ha spiegato i perché del suo gesto.

Lavoratore precario

Un suicidio meditato. “Aveva programmato tutto – ha detto al Mattino Antonio, il fratello maggiore – aveva scelto i luoghi dell’infanzia, a Qualiano, e si era messo la divisa che era la sua speranza di stabilità e l’immagine di quanto di positivo desiderava fare per se e gli altri”. Ha abbandonato il mondo vestito con l’abito che avrebbe voluto indossare per tutta la vita. Ed ha lasciato bene in vista il tesserino da vigile del fuoco precario, quelli che lavorano tre-quattro mesi, perché – Antonio ne è convinto – i primi a sapere fossero i colleghi di Brescia. “Quelli che gli volevano bene e che sapevano cosa avesse voluto dire per lui essere respinto al concorso per vigile del fuoco effettivo per un problema di raggiunti limiti di età”.

Le norme assassine

Gli è stato fatale aver compiuto 40 anni nel momento in cui il ministero dell’Interno ha offerto la possibilità di passare effettivo per concorso. “Il limite era 37”. E’ finita, deve aver pensato il vigile. Che per una legge ingiusta (come si fa a mettere limiti di età in un concorso in un Paese saturo di disoccupati?) è rimasto fuori, scartato, da un mondo che ha amato e lo amava.  Nella sua lettera di addio ha scritto: “Auguro a tutti i miei colleghi precari di poter presto diventare stabili al più presto. Io sono un prigioniero della precarietà. Addio”.

Le canzoni di Fabio

Nelle messaggio trovato nella sua vettura ci sono parole che assomigliano tantissimo “ad una di quelle canzoni – rivela il sito InterNapoli.it – scritte da Fabio, per le quali era abbastanza famoso, tanto da aver inciso un disco. Saranno parole incise nel cuore e nella mente di tutte le persone che gli hanno voluto bene, con le quali il 41enne si è voluto “giustificare” per la sua decisione. “Chiedo perdono a mia mamma perché in nessun caso i genitori dovrebbero veder morire i propri figli. Ma la depressione mi ha divorato l’anima… Auguro una buona vita a tutti, soprattutto ai miei nipoti che amo… ai miei amici e amiche sia di Napoli che di Brescia”.

Quel senso di inadeguatezza

Probabilmente non è riuscito a sopravvivere a quel senso di inadeguatezza che solo chi vive precariamente può capire, chi va avanti giorno dopo giorno schiacciato dalle incombenze economiche che un lavoro “discontinuo” sempre più ridotto all’osso non è più in grado di fronteggiare. Fabio amava il suo lavoro, ma se ne è dovuto separare, proprio a causa della morsa che si è stretta sui richiami a causa dei continui tagli, della frustrazione nel tornare a fare un lavoro diverso da quello che sognava, sommato alla negazione di ogni speranza di un futuro che potesse conciliare il suo lavoro con la sostenibilità economica.

Onorare la sua memoria

 “Oramai è troppo tardi” – ha scritto InterNapoli.it – però si può sempre onorare la sua memoria, “con un gesto simbolico di cui la redazione di InterNapoli.it si fa promotrice, quello di intitolare il futuro distaccamento proprio alla memoria di Fabio, quel suo concittadino che ha lottato per quel lavoro che amava così tanto. Un gesto simbolico affinché l’estremo gesto di Fabio serva ad aprire le menti di chi è deputato a prendere decisioni sulle teste di migliaia di lavoratori e non di numeri”.

Un uomo coraggioso

Fabio era un uomo coraggioso che sapeva anche reagire alle avversità con lo stesso coraggio con cui adempieva al suo lavoro. In quella lettera c’è anche spazio per parole di disprezzo nei confronti della classe politica locale: “i governanti padroni delle nostre vite dovrebbero prima fare dei corsi di sopravvivenza per poi decidere del nostro futuro. Ma io sono un idealista schiacciato dalla pressione della vita”.

L’ultimo desiderio

Nel suo testamento morale, Fabio cita, quando si definisce “prigioniero della precarietà”, anche Papa Francesco. E chiede agli amici di non dimenticarlo. Poi un appello: “Infine volevo solo scrivere ancora una volta i miei versi più significativi, avendo l’unico desiderio che i miei amici possano riscriverli su un cartello accanto alla mia foto: anime distorte dalla realtà, anime privilegiate solo alla fine, muta la tua vità dalle false verità, trovati dall’altra parte della terra di confine”.

 

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