Carabiniere vendeva e deteneva le armi consegnate per rottamazione. Cassazione “E’ peculato”
(di Avv. Umberto Lanzo)
Con una recente sentenza la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un sottufficiale dei Carabinieri, accusato di appropriazione indebita di numerose armi da fuoco, vendita illecita e falsificazione di atti pubblici.
Il militare, in servizio presso una stazione dell’Arma, aveva trattenuto per sé diverse armi consegnate da cittadini, vendendone altre a terzi attraverso documentazione alterata o falsa. Una condotta che è proseguita anche dopo il collocamento in quiescenza, con il soggetto che continuava a presentarsi come pubblico ufficiale, interagendo con l’utenza e gestendo le pratiche come se fosse ancora in servizio.
Peculato, falso e usurpazione: tutti i reati riconosciuti all’ex carabiniere
I giudici di legittimità hanno confermato le pesanti accuse già emerse nei precedenti gradi di giudizio. In particolare, l’ex sottufficiale è stato ritenuto responsabile di:
- Peculato (art. 314 c.p.)
- Detenzione e vendita illegale di armi comuni da sparo
- Falsità materiale e ideologica in atto pubblico fidefacente (art. 476 e 479 c.p.)
- Usurpazione di funzioni pubbliche
L’uomo, approfittando della propria posizione istituzionale, ha gestito direttamente le armi consegnate dai privati alla stazione dei Carabinieri, alterando verbali e creando falsi documenti per giustificare le cessioni successive.
Cassazione netta: “ricorso inammissibile, rilievi generici e senza fondamento giuridico”
La motivazione dei giudici supremi è chiara e articolata. Secondo la Cassazione, le doglianze proposte dall’imputato non costituiscono una vera critica giuridica alla sentenza di secondo grado, ma si limitano a ripetere argomentazioni già respinte, mascherate da espressioni di dissenso generico.
In particolare, il ricorrente aveva tentato di sminuire il danno economico derivante dall’appropriazione delle armi, tesi che la Corte ha definito “logicamente smentita” dai fatti: le armi sono state vendute o cedute – in alcuni casi anche a titolo oneroso – e dunque avevano un evidente valore economico.
Inoltre, il reato di peculato è qualificato come plurioffensivo: non danneggia soltanto il patrimonio dello Stato, ma mina l’integrità dell’intera amministrazione pubblica, compromettendone la funzione di garanzia e tutela della legalità, soprattutto in un settore così delicato come quello delle armi da fuoco.
Attività illecita anche da pensionato: l’ex militare continuava ad agire come pubblico ufficiale
Un elemento decisivo emerso in sede di giudizio riguarda la persistenza della condotta criminale anche dopo la fine del servizio attivo. L’ex sottufficiale ha continuato ad operare nella struttura dell’Arma, interfacciandosi con i cittadini, ricevendo armi e simulando di essere ancora legittimato a farlo.
La Cassazione ha stabilito che, pur essendo formalmente in pensione, il possesso delle armi era direttamente connesso al precedente ruolo istituzionale, rendendo irrilevante il momento dell’appropriazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.).
Il soggetto aveva la disponibilità piena e autonoma delle armi, tanto da disporne liberamente, anche a distanza di settimane o mesi, e redigere documentazione falsa necessaria a coprire l’illecito. In altre parole, la disponibilità non era precaria né casuale, ma strutturata e continuativa.
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