Carabinieri

Carabiniere condannato per maltrattamenti: picchiò la moglie per aver tifato il Napoli in una partita contro la Juventus

Torino – Si è chiuso oggi, venerdì 9 maggio 2025, con una condanna a tre anni e quattro mesi di detenzione domiciliare, il processo a carico di un carabiniere residente in provincia di Torino, accusato di maltrattamenti reiterati nei confronti della moglie. La sentenza, emessa dal tribunale torinese, è la conclusione di una vicenda che ha scosso l’opinione pubblica anche per un episodio emblematico: nel 2013 l’uomo picchiò la moglie per avere tifato Napoli, proprio durante un incontro calcistico contro la Juventus, squadra per cui l’imputato nutriva una passione viscerale.

Una vita insieme segnata dalla violenza

La donna, rimasta al suo fianco per 22 anni prima della separazione, ha denunciato un lungo ciclo di vessazioni e abusi domestici. A portare la sua voce in aula, oltre alla sua testimonianza, è stato anche il legale di parte civile Alessandra Lentini, che ha rappresentato non solo la ex moglie ma anche i due figli della coppia. Il tribunale, presieduto dalla giudice Immacolata Iadeluca, con le colleghe Federica Florio e Milena Lombardo come giudici a latere, ha riconosciuto pienamente la responsabilità dell’uomo.

La Procura aveva chiesto una pena inferiore

Durante il processo, la pm Livia Locci, titolare del fascicolo per conto della procura di Torino, aveva chiesto una condanna leggermente più contenuta, pari a tre anni. Il collegio giudicante ha invece ritenuto opportuno irrogare una pena più severa, confermando la gravità dei fatti emersi dalle indagini. Da tempo l’imputato era sottoposto a divieto di avvicinamento nei confronti della moglie e dei luoghi da lei frequentati.

Il calcio come detonatore, ma la violenza era sistemica

Il caso ha sollevato nuove riflessioni sul tema della violenza domestica, che in questo processo ha avuto come sfondo persino un evento sportivo: una partita Juventus-Napoli. Quel gesto, tanto assurdo quanto rivelatore, non è stato un’eccezione ma parte di un contesto più ampio di soprusi e sopraccarichi emotivi degenerati in atti violenti.

Una sentenza che parla chiaro

Il verdetto rappresenta un segnale forte, soprattutto perché riguarda un appartenente alle forze dell’ordine, figura che dovrebbe essere simbolo di protezione, non di minaccia. In un Paese ancora scosso da numerosi casi di violenza sulle donne, la sentenza odierna sottolinea l’importanza di ascoltare le vittime, di garantire loro protezione e di assicurare alla giustizia chi commette reati, a prescindere dalla divisa che indossa.

Infodifesa è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale

Cosa Aspetti? Al costo di meno di un caffè al mese potrai leggere le nostre notizie senza gli spazi pubblicitari ed accedere a contenuti premium riservati agli abbonati – CLICCA QUI PER ABBONARTI

error: ll Contenuto è protetto