Editoriale

Arma fuori servizio per gli agenti di pubblica sicurezza: realtà o illusione? Il Decreto Sicurezza lascia più dubbi che certezze

Una norma attesa da decenni, ma è davvero operativa?

L’articolo 28 del nuovo Decreto Sicurezza n. 48/2024, pubblicato l’11 aprile in Gazzetta Ufficiale, sembra aver accolto una storica richiesta degli agenti di pubblica sicurezza: portare un’arma personale, più compatta e occultabile, anche fuori servizio. Tuttavia, come spesso accade con le norme annunciate con grande enfasi politica, i dettagli operativi restano fumosi. Il decreto, infatti, prevede un’autorizzazione di principio… ma rimanda l’effettiva applicabilità a un futuro regolamento attuativo ancora tutto da scrivere.

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Due commi, due interpretazioni (e una beffa)

Il testo del decreto si compone di due commi chiave. Il primo autorizza, sulla carta, gli agenti a portare un’arma personale fuori servizio. Il secondo, però, specifica che servirà un regolamento da emanare entro un anno, per armonizzare questa norma con l’articolo 73 del Regolamento di esecuzione al TULPS (Regio Decreto 635/1940). In altre parole, fino all’uscita del regolamento, la norma è tecnicamente sospesa. Una classica zona grigia normativa.

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L’arma personale? Meglio tenerla nel cassetto (per ora)

Il consiglio degli esperti è chiaro: non portate l’arma personale fuori servizio, nemmeno se la possedete legalmente. Finché il decreto non sarà convertito in legge (entro 60 giorni dalla pubblicazione) e il regolamento non sarà approvato, la situazione giuridica resta incerta e potenzialmente pericolosa. Anche agli armieri viene raccomandato di non vendere armi ai soli tesserini di servizio, senza porto d’armi personale valido. Una prudenza necessaria per non incorrere in sanzioni o revoche.

Un déjà-vu ministeriale lungo dieci anni

La posizione del Ministero dell’Interno non è nuova. Già nel 2016 un documento ufficiale spiegava che il solo parametro di portabilità (peso, dimensioni) non basta per autorizzare l’uso di un’arma personale. Serve che quest’ultima sia anche adeguata in termini balistici e conforme a precisi criteri tecnici di calibro e prestazione. In pratica: niente libertà di scelta per l’agente, ma uno schema rigido da definire centralmente. Dieci anni dopo, ancora nessuna regolamentazione concreta è stata varata.

Politica e propaganda: due facce della stessa medaglia

Il rischio concreto è che questa norma si trasformi nell’ennesimo specchietto per le allodole. Il governo può dire di aver agito “per la sicurezza”, ma senza il regolamento, tutto resta lettera morta. Una mossa perfetta in termini politici: si fa bella figura, ma si scarica la responsabilità sull’apparato ministeriale. Se poi il regolamento non arriva mai? Pazienza. Intanto si è preso un applauso.

Una questione di sicurezza vera, non di consenso

Il dibattito sulla possibilità di portare armi personali fuori servizio non è una frivolezza. Gli agenti in borghese che intervengono per fermare reati lo fanno a rischio della propria vita. L’attuale arma d’ordinanza, la Beretta 92, è troppo ingombrante per un uso quotidiano in abiti civili. Una più compatta sarebbe utile e discreta, ma il sistema normativo italiano non lo consente più da anni, da quando le prefetture hanno iniziato a negare i porti d’arma anche agli stessi agenti.

Conclusione: tra promesse e realtà, chi tutela davvero gli agenti?

Il Decreto Sicurezza, nella sua formulazione attuale, non garantisce nulla di nuovo. Gli agenti devono ancora fare affidamento sulla vecchia, ingombrante arma d’ordinanza. E chi sperava in un cambiamento vero, dovrà aspettare un regolamento che potrebbe non arrivare mai. Per una categoria spesso lasciata sola, la sensazione è di essere stati nuovamente presi in giro. Con buona pace di chi giura di voler rafforzare la sicurezza.

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