Giustizia

Una causa “facile” rinviata al 2031. La giustizia civile è in coma

Giustizia al rallentatore: a Busto Arsizio un’udienza civile viene rinviata al 2031. È davvero una causa “di facile e pronta soluzione”?

Busto Arsizio, 5 maggio 2025: rinvio shock al 7 luglio 2031 per una causa civile

Nel verbale dell’Ufficio del Giudice di Pace di Busto Arsizio – 1ª Sezione, datato 5 maggio 2025, si legge nero su bianco quanto segue: una causa dichiarata di «facile e pronta soluzione» viene rinviata alla data del 7 luglio 2031. Le parti, presenti all’udienza delle 14:10, si sono riportate ai rispettivi atti, chiedendo la rimessione in decisione secondo l’art. 281 quinquies, comma 2 c.p.c.. Il Giudice non concede la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo e dispone la trattazione scritta per il 2031, con ulteriori 5 giorni concessi per il deposito di note conclusive.

Un rinvio di sei anni e due mesi per una causa ritenuta semplice: un’anomalia? Tutt’altro. È la nuova normalità per molti uffici giudiziari italiani, ormai allo stremo.


Giustizia bloccata: la crisi dei Giudici di Pace non riguarda solo Busto Arsizio

Quella di Busto Arsizio non è un’eccezione. Da Roma a Torino, da Milano a Civitavecchia, passando per Velletri e Napoli, i rinvii di 2 o 3 anni tra un’udienza e l’altra sono ormai prassi. Il problema non è solo logistico: è strutturale e sistemico.

Molti tribunali operano con organici ridotti ai minimi storici, tra giudici onorari in scadenza e personale amministrativo insufficiente. A Roma, per esempio, le udienze civili vengono fissate nel 2026. A Napoli si attendono fino a 20 mesi solo per la prima comparizione.

Un’intera categoria, quella della giustizia di prossimità, rischia di diventare irrilevante per i cittadini e per le imprese. Eppure, nonostante l’allarme lanciato da anni dagli Ordini degli Avvocati, le istituzioni sembrano sorde.


Ampliamento delle competenze senza rinforzi: il corto circuito normativo della riforma

Dal 31 ottobre 2025 entreranno in vigore i nuovi limiti di competenza per valore dei Giudici di Pace: da 10.000 a 30.000 euro per i beni mobili, da 25.000 a 50.000 euro per i danni da circolazione. Un ampliamento sostanziale, che non è stato accompagnato da nessun aumento dell’organico né da risorse adeguate.

Invece di rafforzare la macchina giudiziaria, si è scelto di caricarla ulteriormente. Un esempio? Il caso di Busto Arsizio, dove una causa semplice rischia di concludersi quando un bambino nato oggi sarà alle scuole medie.

Chi pagherà le conseguenze? I cittadini, che vedranno diritti bloccati per anni, e le imprese, che si troveranno con crediti congelati. È un circolo vizioso in cui più competenze significano solo più rinvii, non giustizia più rapida.


Il Parlamento è pieno di avvocati, ma nessuno ascolta i giudici e chi li rappresenta

È paradossale: il Parlamento italiano conta tra i suoi membri un numero altissimo di avvocati, ma è forse la categoria più inascoltata quando si parla di giustizia. Le richieste dei magistrati onorari e degli Ordini forensi restano lettera morta.

In particolare, non è stata affrontata la crisi della giustizia civile minore, che dovrebbe essere il primo punto di contatto tra cittadini e Stato. A oggi, oltre il 60% dei posti da Giudice di Pace è vacante, e non esiste alcun piano nazionale straordinario di reclutamento o digitalizzazione reale.

Nel frattempo, l’Europa continua a richiamare l’Italia per le violazioni dell’articolo 6 della CEDU, che garantisce il diritto a un processo entro termini ragionevoli. Ma il rinvio al 2031 non è un errore isolato: è la dimostrazione concreta di quanto sia lontano l’obiettivo europeo.


Un rinvio di sei anni per una causa facile: e se fosse stata complessa, l’udienza sarebbe nel 2040?

Il Giudice ha motivato il rinvio con la presunta semplicità della causa. E viene da chiedersi: se fosse stata una causa complessa, quanto avremmo dovuto aspettare? Fino al 2040? La domanda è amara ma realistica.

Eppure, il fatto che un rinvio di oltre sei anni venga definito “breve” dice tutto sullo stato della giustizia italiana. Quella che dovrebbe essere la garanzia ultima dei diritti, è oggi diventata una corsa a ostacoli burocratici e temporali, in cui la posta in gioco è spesso la fiducia stessa del cittadino nello Stato.

La “giustizia di prossimità”, nata per essere rapida, accessibile, semplificata, rischia di diventare la più distante di tutte. E finché si continuerà a fare riforme senza risorse, a moltiplicare le competenze senza mezzi, sarà solo una giustizia rinviata. Ancora. E ancora.


La riforma che serve davvero: meno slogan, più sentenze in tempi umani

A ben guardare, ciò che dovrebbe interessare davvero i cittadini non è l’eterna querelle sulla separazione delle carriere, spesso agitata come bandiera politica ma mai realmente attuata. Ciò che serve — e manca — è una giustizia che funzioni, che sia veloce, prevedibile, accessibile, e che non lasci chi ha subito un torto a galleggiare nel vuoto per anni.

Una riforma vera dovrebbe parlare di tempi certi, di decisioni efficaci, di pena che arriva, non solo sulla carta ma nella realtà. Perché la giustizia, sarà pure inesorabile, ma se è lenta, smette di essere giustizia. E diventa una beffa.

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