Forze di Polizia

RIFORMA MADIA SULLA SICUREZZA: POTEVA ESSERE … NON E’.

Cambiare il modello di sicurezza e soprattutto la cultura di polizia. Dalla “polizia del sovrano” di napoleonica memoria, autarchica ed isolata dal resto della società ad una più moderna “polizia del cittadino”, immersa nella società civile. Un modello meno reattivo e coeso (affidabilità operativa), ma più trasparente ed affidabile verso la Costituzione, la legge ed i cittadini (affidabilità democratica). Era questo l’intento del legislatore della 121 del 1981.

Un progetto che doveva essere coltivato, gestito e difeso. In questo senso si pensò che i neo istituiti sindacati di polizia, oltre a tutelare gli interessi corporativi del personale, potessero da soli assumere il ruolo di presidio democratico all’interno delle Forze di Polizia, di collante con la società civile e di guida e traino per le rappresentanze militari. Purtroppo non è stato (e non poteva essere) così.

Così quella legge ha funzionato solo per la parte economico-corporativa, mentre per il resto (democratizzazione, trasparenza, affidabilità democratica, nuova cultura di polizia, ecc.) non ha funzionato o ha funzionato solo in minima parte. Tanto che nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad una costante inversione di tendenza.

I primi segnali erano già evidenti dal 1995 quando, in cambio della“carota” riordino delle carriere “tutti promossi (ma sostanzialmente retrocessi)”, la Polizia di Stato e relativi sindacati accettarono di abbandonare il modello di carriera previsto dalla “121” (in particolare la figura dell’”Ispettore”) ed acconsentirono alla creazione del comparto di unitario sicurezza e difesa.

Per seguire con l’esclusione del comparto dalla c.d. privatizzazione, con la decretazione delegata del 2001, con la parametrazione stipendiale del 2003 e con la norma sulla specificità del 2010. Tutti interventi tesi a (re)isolare il comparto sicurezza dal resto del pubblico impiego, edulcorati da vantaggi economici o di carriera sempre più apparenti e vacui che concreti. Tutti provvedimenti accettati, avallati e spesso anche invocati anche dai sindacati di polizia e dalle rappresentanze militari, in nome del supremo dio consenso.

Con la riforma Renzi/Madia quella che era una tendenza strisciante diviene una realtà manifesta.  

La parte di delega Madia sulla sicurezza è stata ispirata (o forse sarebbe meglio dire “inquinata”) dalle analisi ragionieristico/privatistiche della“spending” (accorpare equivale a risparmio ed efficienza) e dal luogo comune (5 Forze di Polizia sono troppe e si pestano i piedi generando sprechi).

In questo contesto, dopo che è stato individuato nella “Cenerentola” C.F.S. l’agnello da sacrificare sull’altare delle razionalizzazioni, c’è chi ha pensato di utilizzare la “forza” del Governo Renzi per allargare o difendere il proprio posizionamento strategico e diffondere la propria cultura organizzativa (Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza) e c’è chi ha pensato solo alle carriere (Polizia di Stato, sindacati e rappresentanze).

Il risultato era abbastanza scontato. Basta leggere il parere del Consiglio di Stato ed i resoconti del dibattito parlamentare per comprendere che siamo in presenza di un intervento che ridimensiona il modello di sicurezza immaginato con legge “121 e colpisce in profondità il ruolo della Polizia di Stato e del sindacato di polizia.

L’elemento politicamente più rilevante di questa riforma è infatti rappresentato dall’affermazione del principio secondo il quale: è giuridicamente sostenibile la militarizzazione di un Forza di Polizia civile senza essere giustificata da un cambio di funzione/missione el’ordinamento militare (naturalmente più efficacie sotto il profilo dell’affidabilità operativa) è sostanzialmente equivalente a quello civile-speciale anche sotto il profilo dei diritti del personale edell’affidabilità democratica.

A questo si aggiunge o si aggiungerà l’ennesimo anacronistico riordino delle carriere tutto gradi, lustrini e cotillon, che allontana (e penalizza) il personale delle Forze di polizia rispetto al resto del pubblico impiego ed alle Forze di Polizia occidentali. Anche se stavolta, vista l’esiguità delle risorse a disposizione, più che la “carota” del ’95 rischia di essere solo una “scorsetta”.

Il tutto, a fronte di risultati:

  • irrisori, sotto il profilo dei risparmi: 12 mln di € l’anno a regime su un budget di oltre 20 miliardi di €., al lordo dei costi iniziali; obiettivo peraltro ampiamente raggiungibile attraverso il mero accorpamento di sedi e presidi, senza complicate fusioni a freddo;
  • minimi sotto il profilo della razionalizzazione delle funzioni; basta leggere il decreto per comprendere che tutti continueranno a fare più o meno quello che facevano ed a pestarsi i piedi come prima e più di prima.

L’epilogo, dopo la recente proroga di sei mesi per l’attuazione dell’art. 8, sembra già scritto: riassetto subito e riordino (forse) a febbraio 2017 sulla base dell’attuale bozza e per di più “autofinanziato” dal personale, attraverso le risorse oggi destinate al bonus di 80 €. Evviva!

Poteva essere l’occasione per aggiornare e correggere i difetti della“121”, per adeguare il comparto sicurezza ai tempi, alla società ed alle nuove esigenze di sicurezza, per introdurre elementi come la contrattazione integrativa, per rendere produttiva la spesa improduttiva, per ridurre i ridondanti livelli di comando, per introdurre veri elementi di meritocrazia, per recuperare risorse umane dal funzionamento a favore di servizi operativi a valore, per informatizzare i processi di lavoro, ecc..

Poteva essere … non è.

Gianluca Taccalozzi  – Delegato Co.Ce.R. Guardia di Finanza.

FICIESSE – Associazione Finanzieri Cittadini e Solidarietà

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