Poliziotti bersagliati e bloccati: “Ci attaccano e non possiamo reagire”. Il duro affondo di Italia Celere alla gestione dell’ordine pubblico
Nel comunicato del 26 maggio 2025, il sindacato Italia Celere denuncia una gestione dell’ordine pubblico che – a loro dire – lascia i poliziotti esposti alla violenza, senza possibilità di difendersi. «Ordini contraddittori, paura del manganello e impunità per i violenti», attacca il segretario nazionale Andrea Cecchini.
Manifestanti “pacifisti” con caschi, scudi e bastoni: violenza in piazza, ma agli agenti si vieta di reagire
È durissima la nota diffusa dalla Segreteria nazionale di Italia Celere, sigla sindacale della Polizia di Stato, dopo gli scontri avvenuti il 26 maggio a Roma durante una manifestazione.
Nel documento ufficiale si denuncia come alcuni manifestanti, definiti ironicamente “pacifisti mitologici”, si siano presentati travisati, con caschi integrali, scudi di oltre due metri e aste usate come armi contro la prima linea delle forze dell’ordine.
«Siamo abituati ad affrontare i violenti, ma ricevere ordini di non reagire è inaccettabile», scrive il segretario Andrea Cecchini, contestando i vertici della gestione operativa.
Addestrati ma inutilizzati: il paradosso del manganello che non si può usare
Il cuore della polemica riguarda la presunta proibizione all’uso della forza, anche in situazioni di palese aggressione. Il sindacato accusa apertamente: «Ci formano, ci equipaggiano, ci addestrano per fronteggiare i disordini, ma poi non possiamo agire».
Un esempio riportato riguarda la difficoltà, durante le fasi più concitate, a riconoscere chi ci fosse dall’altro lato degli scudi: «E se fossero stati armati di coltelli?», si legge nel comunicato.
Un paradosso che, secondo Cecchini, svuota di senso il ruolo dei reparti mobili: «Siamo lì per garantire l’ordine pubblico, non per farci massacrare senza poterci difendere».
“Chi sbaglia paga”? Solo se indossa la divisa. E gli altri tornano in piazza ancora più armati
Il sindacato torna su una delle ferite più profonde per chi lavora in divisa: i procedimenti giudiziari subiti da agenti intervenuti in situazioni di emergenza.
«Poliziotti indagati e condannati per aver fatto il proprio dovere, mentre i violenti continuano a delinquere impunemente», denuncia Cecchini, chiedendo conto alla politica.
Italia Celere ribadisce che la legge è chiara: il TULPS e il codice penale vietano di manifestare in pubblico a volto coperto e con oggetti atti ad offendere. Eppure – si sostiene – nessuno sembra intervenire.
Appello al governo: “A cosa serve addestrarci se poi ci impedite di difenderci?”
Il segretario nazionale Andrea Cecchini rivolge un messaggio diretto alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni:
«Sig.ra Presidente, se non possiamo applicare la legge, se non possiamo difenderci, se veniamo indagati quando reagiamo, allora a cosa serve la nostra preparazione?».
Una critica forte anche all’eccesso di garantismo che, secondo il sindacato, porterebbe a “nascondere i poliziotti inquisiti per non dar fastidio a chi fa campagne di odio”.
Interpellanza parlamentare in arrivo: “Chi decide deve rispondere delle scelte fatte”
Italia Celere annuncia la presentazione, tramite le forze politiche che vorranno ascoltarla, di un’interpellanza parlamentare per accertare se ci siano state violazioni delle regole d’ingaggio, dei protocolli operativi e delle responsabilità di comando.
«Vogliamo sapere se chi dirige dalle sale di regia, impedendo l’intervento, risponde delle ferite subite dai poliziotti».
L’iniziativa punta a riaprire il dibattito sulla tutela delle forze dell’ordine e sul ruolo operativo dei reparti mobili, spesso lasciati soli a gestire situazioni esplosive.
“Siamo ancora qui, ma non per far carriera agli altri. O si cambia o la divisa perde valore”
Il comunicato si chiude con un messaggio di forte amarezza e determinazione:
«Noi crediamo ancora nello Stato, nella legge, nella Costituzione. Ma non siamo carne da macello. Se anche chi ci comanda non ci difende, chi lo farà?».
Il timore espresso da Italia Celere è che si stia creando un clima in cui i violenti sono tutelati, mentre i servitori dello Stato vengono perseguiti per essersi difesi. Una distorsione, secondo il sindacato, che può minare alla radice la fiducia nelle istituzioni.
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