Carabinieri

Il TAR reintegra il Maresciallo congedato dall’Arma per le sue idee anti islam. “Licenziamento non motivato”

Il caso del Maresciallo dei carabinieri Riccardo Prisciano iniziò nel 2015 quando gli venne notificato l’avvio di un procedimento disciplinare per “islamofobia, xenofobia, omofobia, violazioni dei doveri attinenti al grado ed al giuramento prestato e per aver inficiato l’apoliticità della Forza Armata” sino ad essere definitivamente posto in Congedo dall’Amministrazione.

Tutta colpa di un libro. Il suo libro, “Nazislamismo” con presentazione di Magdi Cristiano Allam. Un saggio, estensione della tesi di laurea, in cui dimostra l’incostituzionalità giuridica dell’Islam. Ma il Maresciallo Prisciano non demorde e propone ricorso al Tar Lazio che con la sentenza che vi proponiamo di seguito in stralcio ha dato ragione al ricorrente.

Il ricorrente, già maresciallo dell’Arma, non è stato ammesso al servizio permanente. In particolare l’amministrazione rilevava che : “che il complessivo quadro di situazione emergente dall’esame della documentazione caratteristica e matricolare del Maresciallo Prisciano, riferita al periodo quadriennale di ferma volontaria, ha evidenziato un rendimento assolutamente insoddisfacente del militare per: carenti qualità morali, militari e di carattere; minore affidabilità sul piano professionale, da cui è scaturito un profitto valutato per due volte con giudizio equivalente a “inferiore alla media”, emesso da diverse scale gerarchiche; che il Maresciallo Prisciano ha palesato una marcata refrattarietà alla disciplina militare, con gravissime carenze sostanziatesi negli ultimi due anni in quattro sanzioni di corpo, di cui ben tre “consegne di rigore”, irrogate da differenti Comandanti”.

Secondo il Tar Lazio la disciplina normativa che presidia l’ammissione al servizio permanente (artt. 948 del D.L. 15 marzo 2010, n.66) recita : “Al termine della ferma volontaria, i carabinieri che conservano l’idoneità psico-fisica al servizio incondizionato e sono meritevoli per qualità morali e culturali, buona condotta, attitudini e rendimento, di continuare a prestare servizio nell’Arma dei carabinieri, sono ammessi, salvo esplicita rinuncia, in servizio permanente …”.

Si tratta di previsioni normative a contenuto aperto, la cui puntuale determinazione è rimessa alla stessa Arma. In altre parole il significato concreto di: qualità morali, buona condotta e rendimento, invero necessitano di una conseguente e puntuale precisazione motivazionale, sia con riferimento ai principi costituzionali della pari dignità sociale tra i cittadini, del riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, del diritto al lavoro, che per consentire l’eventuale scrutinio del giudice amministrativo.

Si tratta di diritti essenziali e non comprimibili della persona, il cui pregiudizio necessita una adeguata, congrua e documentata motivazione tale che, nel bilanciamento degli opposti interessi, sia evidenziata, in modo oggettivo ed inconfutabile, la prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato, motivazione che, in ogni caso, deve essere declinata con i principi di ragionevolezza e proporzionalità così come introdotti anche dalla giurisprudenza comunitaria.

Ritiene il Collegio che una lettura costituzionalmente orientata delle citate norme, in uno con i riferiti principi di proporzionalità e ragionevolezza, non può essere limitata ad una mera elencazione delle asserite mancanze disciplinari, atteso che l’irrogazione di tali sanzioni costituiscono un sintomo della mancanza dei requisiti richiesti dalla norma, sintomo che, però, deve essere supportato da un concreto disvalore del comportamento contestato, la cui valenza negativa può essere ricavata dalla completa lettura del comportamento del militare.

In altre parole è necessario che la p.a. dimostri, attraverso una documentata prospettazione, le ragioni per cui l’interessato non è più ritenuto meritevole di far parte del consesso militare.

Si tratta, pertanto, di un giudizio ponderato e non sintetico (diversamente il legislatore avrebbe previsto il mero dato numerico delle sanzioni riportate), in cui deve essere valutata l’intera esperienza professionale e privata del militare, in cui i rilievi sintomatici negativi e positivi devono essere adeguatamente soppesati nell’ambito di un compiuto processo motivazionale che non può essere certamente limitato alla enumerazione delle sanzioni irrogate, ovvero a meri e stereotipati giudizi negativi.

Nel caso di specie, infatti risulta che una prima sanzione di rigore è stata irrogata in relazione ad una denuncia avanzata nei confronti del ricorrente, il cui fatto presupposto è stato, poi, archiviato dalla giustizia militare.

Le altre due sanzioni di rigore risultano, invece, connesse a manifestazioni del pensiero espresso dal ricorrente in modo da non comportare alcuna reazione penale.

Tale evenienze fattuali devono essere necessariamente considerate dall’amministrazione indipendentemente e a prescindere dalla reazione giudiziaria non attivata dal ricorrente, proprio perché nel giudizio e nel conseguente provvedimento, la p.a. deve sempre far prevalere, allorquando si tratta di giudizi personali, la sostanza sulla forma.

Allora, le sanzioni disciplinari su cui, anche, si fonda il provvedimento espulsivo, se esattamente valutate nell’attuale contesto costituzionale, certamente, di per sé, non giustificano il grave provvedimento espulsivo, alla luce proprio del necessario bilanciamento degli interessi, anche costituzionali, che la questione coinvolge, atteso che la sintetica motivazione adottata dalla p.a. non dà modo al collegio di verificare la ragionevolezza e la proporzionalità della misura adottata.

In altre parole la p.a. è chiamata ad adottare un provvedimento discrezionale che, in quanto tale deve essere adeguatamente motivato, tanto più che la misura pregiudica essenziali e fondamentali diritti costituzionali del ricorrente e la p.a. non può limitarsi ad una mera applicazione automatica delle norme riportate sulla base di evenienze meramente formali.

Infine, non può essere sottovalutato il fatto che il giudice ordinario ha assolto il ricorrente dal reato previsto e punito dall’art. 572 c.p. perché il fatto non sussiste, condannando, di contro, l’ex coniuge a mesi otto di reclusione.

Tale evenienza risulta sintomatica della singolare condizione vissuta dal ricorrente e non può essere omessa dalla p.a. nella motivazione del giudizio finale.

Per ultimo, e la circostanza non è stata smentita dalla difesa erariale, l’arresto ( maggio 2016) da parte del ricorrente, di un malvivente che aveva aggredito un anziano, convalidato dall’A.G..

Ebbene, neppure tale episodio risulta introdotto nella motivazione escludente.

Si tratta, cioè, di un significativo aspetto professionale del ricorrente che la p.a. non ha considerato nella complessiva valutazione dello stesso ai fini dell’adozione della misura contestata.

Pertanto – secondo il TAR Lazio – il provvedimento risulta non adeguatamente motivato e deve essere annullato.

 

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