Avvocato Militare

GIORNI DI RIGORE SENZA PROCEDIMENTO, MARESCIALLO VINCE RICORSO AL TAR. AMMINISTRAZIONE CONDANNATA ALLE SPESE

Con atto datato 16 settembre 2005, notificato il 28 settembre successivo, il Comandante del Distaccamento di Cerveteri del Raggruppamento Unità Difesa (RUD) comunicava al ricorrente, Maresciallo dell’Esercito Italiano in servizio presso quel Reparto, di avergli inflitto giorni 5 di consegna di rigore per “grave negligenza nell’espletamento di un servizio secondo le modalità prescritte e, più precisamente, in qualità di Ufficiale di Picchetto, non si accertava che il personale delle Ditte autorizzate fosse accompagnato dal personale del Distaccamento.

Con atto datato 26 ottobre 2005 il ricorrente impugnava detta sanzione disciplinare con ricorso gerarchico innanzi al Comandante del RUD di Roma lamentando la singolarità del procedimento “iniziato e definito in una sola giornata” in spregio alla tempistica di cui al D.M. n. 603/1993 e al D.M. n. 690/1996 e deducendo, in particolare, l’omissione della comunicazione di avvio e la mancata concessione di termini a difesa.

Il Comandante del RUD, con decreto datato 8 novembre 2005, rilevata l’assenza di una “preventiva contestazione degli addebiti, specifica e congrua per tempi e modalità” e considerata l’assenza di certezze circa la preventiva visione degli atti da parte della Commissione Consultiva, il cui intervento nel procedimento è imposto dall’art. del d.P.R. n. 545/1986 (di seguito RDM), accoglieva il ricorso annullando la sanzione.

Con atto datato 11 novembre 2005 il Comandante del Distaccamento RUD procedeva nei confronti del ricorrente ex art. 66 e ss. del RDM e art. 15 della L. n. 382/1978 ad una nuova contestazione dei medesimi addebiti fissando il termine di conclusione del procedimento in giorni 20 ed assegnando contestualmente all’incolpato i termini di 15 e 5 giorni, rispettivamente, per il deposito di eventuali giustificazioni e la nomina del difensore.

A conclusione del procedimento, con provvedimento del 30 novembre 2005, l’Autorità disciplinare irrogava al ricorrente la sanzione di giorni 6 di consegna di rigore ex art. 21 del RDM (“Doveri propri dei superiori”) per “inosservanza, commessa il 26 agosto 2005 in qualità di Maresciallo di Picchetto, del dovere di effettuare i controlli previsti sul dipendente personale nell’esecuzione di un servizio di particolare rilevanza e di prevenzione del Comando di appartenenza. In particolare non si accertava che il personale delle Ditte autorizzate all’accesso fosse debitamente accompagnato dal personale a tal fine preposto secondo le norme e disposizioni di sicurezza che regolano l’accesso ai comprensori del Raggruppamento Unità Difesa”.

Avverso la sanzione da ultimo intervenuta il ricorrente proponeva nuovamente ricorso gerarchico deducendo la violazione del divieto di ne bis in idem; la genericità della contestazione e la falsa applicazione dell’art. 59 del d.P.R. n. 3/1957; la decadenza dalla possibilità di contestare l’infrazione; la violazione degli artt. 58 e 59 del d.P.R. n. 545/1986 ed eccesso di potere sotto svariati profili.


Il Comandante del RUD, con decreto del 16 gennaio 2006 respingeva il ricorso gerarchico ritenendo l’infondatezza delle dedotte censure.

Il ricorrente impugnava al T.A.R. Lazio il rigetto da ultimo intervenuto, unitamente alla sanzione inflittagli. La causa veniva decisa all’esito della pubblica udienza del 19 gennaio 2018 (dodici anni dopo) la causa veniva decisa.

Secondo il T.A.R. Lazio, come riaffermato dalla più recente giurisprudenza, le scelte discrezionali dell’Amministrazione in materia disciplinare non sono insindacabili ma sono soggette al vaglio del giudice amministrativo ogni qual volta siano rilevabili evidenze tali da palesare, ancorché sotto il solo profilo sintomatico, una distorsione nell’esercizio del potere attribuito.

Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto che il complessivo operato dell’Amministrazione palesi il travalicamento di quei canoni di imparzialità, proporzionalità e ragionevolezza che ne delimitano l’ambito di scelta.

Quanto alla condotta contestata, come più volte evidenziato, viene addebitato al ricorrente che “non si accertava che il personale delle Ditte autorizzate all’accesso fosse debitamente accompagnato dal personale a tal fine preposto secondo le norme e disposizioni di sicurezza che regolano l’accesso ai comprensori del Raggruppamento Unità Difesa”.

Da tale articolato motivazionale si ricava che l’accesso in questione avveniva ad opera di soggetti autorizzati, con modalità prestabilite il cui rispetto era assicurato dal “personale a ciò preposto” e non dal ricorrente sul quale gravava unicamente un onere di vigilanza circa l’operato dei sottoposti.

Chiarito nei suesposti termini il contenuto del dovere in ipotesi violato, deve rilevarsi che non è contestato da parte dell’Amministrazione che al ricorrente, in quella data in servizio quale Ufficiale di Picchetto, fossero affidati compiti di supervisione e controllo di tutte le attività di caserma, incompatibili con una statica presenza in prossimità degli accessi all’installazione militare.

Né, d’altra parte, è contestato al ricorrente di essersi trovato, in concomitanza con la rilevata violazione, in luoghi non consentiti o impegnato in attività estranee alle mansioni al medesimo affidate.

Allo steso modo non è contestato o comprovato, sulla base degli scarni contenuti dei provvedimenti impugnati, che il ricorrente abbia omesso di ribadire al “personale a ciò preposto” i contenuti delle disposizioni che regolano “l’accesso ai comprensori del Raggruppamento Unità Difesa” oggetto, in ogni caso, di doverosa conoscenza da parte di questi ultimi.

Gli atti impugnati, infine, non contengono alcuna indicazione circa “le circostanze di tempo e di luogo del fatto” limitandosi a precisare che la mancanza addebitata veniva “commessa il 26 agosto 2005” in qualità di “Maresciallo di picchetto”.

I suesposti profili di legittimità comprovano che la sanzione impugnata è priva di un esaustivo supporto motivazionale: vizio che tradisce l’incompletezza dell’istruttoria sulla base della quale veniva accertato il fatto disciplinarmente rilevante.

Il T.A.R. ha, quindi, accolto il ricorso e condannato l’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio liquidate in 1000,00 euro.

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