Difesa

DIFESA, QUANDO I COLONNELLI FANNO GLI STIPENDI (E NON LA GUERRA)

Il 28 novembre, presumibilmente nel disinteresse generale di un’Italia impegnata a commentare la tardiva espulsione di Berlusconi dal Senato, un po’ di donne e uomini con cartelli e banderuole si incontreranno sotto le finestre del ministro della Difesa, il pio Mario Mauro.

Non sono né gli orribili metalmeccanici di Landini e neppure i vocianti ferrotranvieri di Genova in attesa di essere privatizzati. Sono gli impiegati del ministero della Difesa, o meglio di due direzioni generali del ministero, quella che si occupa della gestione del personale militare, abbreviata dai militari a cui piacciono le sigle in Persomil, e quella della previdenza militare, ossia Previmil.  Veri epigoni del mitico monssù Travet, costretti a occuparsi per 1200 euro al mese degli stipendi dei loro colleghi stellati che guadagnano il doppio e il triplo. Non è tuttavia per soldi che manifestano, bensì per impedire di essere definitivamente militarizzati se dovesse passare l’ultimo pezzo, non scritto, delle controriforme da tempo avviate al loro ministero.
Un ministero che negli anni ha visto la componente civile sempre più restringersi a favore dei militari. Che adesso fanno tutto, anche quello che di militare non ha nulla. Come, per esempio, gestire la burocrazia del personale. Pensate: la pianta organica di Persomil prevede 728 civili e 198 militari. Sapete quanti sono, invece? I civili 364, la metà esatta, e i militari 675, cioè più del triplo. Non è solo una questione di buonsenso e di rispetto delle norme, ma anche di costo. Un ufficiale con oltre 13 anni di servizio guadagna in media 65 mila euro l’anno, un civile di terza fascia (cioè i laureati) appena 29 mila. Circa 36 mila euro l’anno di differenza. Vuol dire che la sola Persomil ci costa 22 milioni in più di quanto non ci costerebbe se il rapporto militari/civili fosse rispettato.
Era Giulio Andreotti il ministro della Difesa quando, nel 1965, si fece in Italia la prima, vera (e unica) grande riforma dell’ex ministero della Guerra, diventato della Difesa solo per ragioni di political correctness dopo l’ignominia fascista. Andreotti, che pure di malefatte con il sostegno e la benedizione di militari e barbe finte ne fece tante, di una cosa era certamente convinto: un ministero tutto in mano ai generali è pericoloso perché inefficiente. E cercò di civilizzarne le funzioni. Un’idea balenata anche a Beniamino Andreatta quando a verso la fine degli anni ’90 andò a occupare la poltrona che già fu dell’uomo di tutte le trame. Chiamò ad assisterlo un noto tagliatore di teste come Carlos Zaragoza che divenne subito, spregiativamente, “lo spagnolo” e venne triturato dalla macchina militar-burocratica. Riforme, sì, ma solo se (non) le facciamo noi è il motto indelebilmente scritto sui muri dalle nostre greche.
Poi di ministri degni di questo nome non se ne sono visti granché, dalle parti nostre. Un Martino? Per favore. Parisi? Troppo occupato a cedere Vicenza agli americani. La Russa? Quello che quando se ne andò fece dare encomi solenni a tutto il suo staff (militare) per aver fatto funzionare con supremo sprezzo del pericolo il sito internet del ministero? Poi, per fortuna loro, arrivò Di Paola: ammiraglio, già segretario generale della Difesa, già presidente del Comitato militare della Nato, oggi in pensione con 314 mila euro l’anno, che venne beccato da Wikileaks a dire agli americani, era la fine del 2005, facciamo in fretta l’accordo per Sigonella perché se vince il centrosinistra per voi sono cazzi amari (ma noi sappiamo che non è stato così). E con Di Paola, benedetto dall’algido Mario Monti, tutti i generaloni si sono sentiti rinfrancati.
Dunque, per prima cosa: blindare il fortino. Fuori tutti i fastidi. I militari sono già da tempo messi in sicurezza: carriere fastose, gli stipendi e le pensioni più alte di tutta la pubblica amministrazione. I rompiballe degli anni Settanta (ricordate? I proletari in divisa, i sottufficiali democratici, i controllori di volo che fanno sciopero per essere smilitarizzati) non sono neppure più un ricordo. Un po’ alla volta la struttura amministrativa del Ministero viene fatta fuori. Prima gli arsenali e gli stabilimenti della Difesa passano sotto il controllo diretto degli Stati maggiori. Sarebbe come dire che gli stabilimenti della Fiat passano ai concessionari: non sono forse loro che vendono le automobili? Poi un po’ di direzioni generali, quelle addette all’acquisto degli equipaggiamenti e delle armi, perdono autonomia. In tutto il resto del mondo è il contrario. L’anno scorso, infine, la sanità militare viene anch’essa assorbita in fretta e furia dagli Stati Maggiori.
A forza di mazzate, i civili della Difesa, che fino a pochi anni fa erano 50mila, si sono ridotti a 30mila. Poi il capolavoro della legge di delega, scritta di proprio pugno dal Di Paola Furioso stesso (nessun altro ministro l’ha firmata, neppure il presidente del Consiglio) che provvede a tagliare. Tutti dicono: i militari. È vero, taglia anche i militari (del 18 per cento), ma taglia soprattutto i civili (del 33 per cento) che così, nel 2024, saranno solo 20 mila. Già oggi siamo il fanalino di coda nel rapporto tra militari e civili nella Difesa. Da noi, a controriforma Di Paola conclusa, avremo 7,5 militari ogni civile, in Francia sono un civile per 3,36 militari e in Gran Bretagna addirittura uno ogni 2,48.
Adesso stanno tentando di far transitare due delle quattro superstiti direzioni generali sotto il diretto controllo degli Stati maggiori. Hanno anche trovato il trucco per non dover chiedere a nessuno: nei decreti delegati della legge Di Paola si affida a un regolamento la ripartizione dei compiti e delle funzioni del ministero. Il che vuol dire che si farà tutto aumm-aumm senza che il Parlamento ci possa mettere bocca. Anzi, per far le cose per bene hanno chiamato una di quelle società che riorganizzano il capitalismo, la PricewaterhouseCoopers Advisory Spa. Le hanno dato una sala tutta per loro al ministero dopo aver firmato un contratto da 255 mila euro nel 2013 tramite la Nato Support Agency (forse si vergognavano a pubblicare il bando sui giornali italiani). Per avere cosa? Se tanto mi dà tanto un Ministero strutturato come una JP Morgan qualsiasi. Ci manca solo che mettiamo i militari a fare i mutui sub-prime. (Mi correggo: tra un po’ avremo anche quelli, se faranno il fondo casa per le forze armate così come si intravvede nei decreti Di Paola/Mauro).
P.S. Ma perché succede questo, vi chiederete? Semplice (a parte non aver gente libera di pensiero che ti guarda mentre lavori: non si sa mai) vuoi metter quanti bei colonnelli e generali in più ci sono con tanti militari al posto dei civili?
 
di Toni De Marchi per il fattoquotidiano.it

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