Difendere la patria, un dovere per tutti: cosa succederebbe se l’Italia entrasse in guerra e chi sarebbe chiamato alle armi
La partecipazione dell’Italia ad un conflitto armato è una eventualità che la Carta Costituzionale e la normativa internazionale prevedono solo come extrema ratio per la difesa del Paese e dei suoi alleati. Ma in quali casi concreti il nostro ordinamento consente il ricorso alle armi? E quali categorie di cittadini sarebbero chiamate a prendere parte alle operazioni belliche?
L’Italia e il ricorso alle armi: i casi previsti dalla Costituzione e dai trattati internazionali
In virtù dell’articolo 11 della Costituzione, che sancisce il ripudio della guerra come strumento di offesa e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, l’Italia può fare ricorso alla forza militare esclusivamente per la tutela di valori supremi quali l’integrità territoriale, la sicurezza e la libertà della comunità nazionale. Tale extrema ratio trova applicazione tanto nel caso di aggressione armata diretta ai danni dello Stivale, quanto nell’eventualità di attacco ad uno Stato membro della NATO o dell’Unione Europea.
I trattati che disciplinano la partecipazione dell’Italia a queste organizzazioni internazionali, infatti, prevedono precise clausole di mutua difesa. Nello specifico, l’articolo 5 del Patto Atlantico e l’articolo 42 del Trattato di Lisbona configurano un vero e proprio dovere di intervento militare degli Stati membri a supporto di qualsiasi alleato vittima di aggressione armata. Principi cardine del diritto internazionale pattizio che assumono rango costituzionale in virtù dell’articolo 11 della Carta.
Cosa prevede l’art. 5 del Patto Atlantico?
Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’ari. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale.
Cosa prevede il Trattato di Lisbona?
Per l’attuazione della politica di sicurezza e difesa, gli Stati membri mettono a disposizione dell’UE capacità civili e militari, per conseguire gli obiettivi indicati dal Consiglio dell’Unione Europea, e si impegnano a migliorare le proprie capacità militari, secondo le esigenze individuate dall’Agenzia europea per la difesa (art. 42, par. 3; art. 45). Le relative decisioni, comprese quelle inerenti l’avvio di una missione civile e/o militare dell’UE, sono adottate dal Consiglio dell’Unione all’unanimità, su proposta dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, o su iniziativa di uno Stato membro (art. 42, par. 4). A parte l’obbligo degli Stati membri di prestare aiuto a uno Stato membro che subisca un’aggressione armata sul suo territorio (art. 42, par. 7), nei limiti consentiti dall’art. 51 della Carta dell’ONU (Legittima difesa. Diritto internazionale), dette missioni comprendono: azioni congiunte in materia di disarmo, missioni umanitarie e di soccorso, di consulenza e assistenza in materia militare, di prevenzione dei conflitti e di mantenimento o ristabilimento della pace, nonché di stabilizzazione al termine dei conflitti; a tutte le tipologie di missioni l’UE può fare ricorso anche per contribuire alla lotta contro il terrorismo internazionale (art. 43).
Lo stato di guerra
In tale scenario, dunque, il governo italiano può richiedere al Parlamento l’autorizzazione a dichiarare lo stato di guerra, assumendo i poteri necessari come previsto dall’articolo 78 della Costituzione. Già in tempo di pace, d’altronde, la normativa vigente conferisce all’esecutivo il potere di disporre l’impiego delle forze armate per interventi militari all’estero, sulla base del fondamentale principio della “clausola di salvaguardia” che esclude il ricorso alla forza se non per la più stretta e assoluta legittima difesa.
Ma quali sarebbero, in concreto, le componenti militari e civili della Repubblica chiamate alle armi in caso di guerra?
In prima istanza verrebbero mobilitate le forze armate nella loro interezza, dunque Esercito, Marina, Aeronautica, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza. Non rientrano nel novero i corpi a ordinamento civile come Polizia di Stato, Vigili del Fuoco e Polizia Penitenziaria.
In secondo luogo, potrebbero essere richiamati in servizio gli ufficiali e i sottufficiali congedati da non più di 5 anni. Qualora anche il ricorso a queste risorse non fosse sufficiente per le esigenze belliche, la legge prevede la possibilità di reintrodurre la leva obbligatoria, attualmente solo sospesa. In tal caso, sarebbero chiamati a prendere le armi i cittadini maschi tra i 18 e i 45 anni giudicati idonei dalle autorità militari.
Proprio riguardo l’insufficienza di unità militari a disposizione, a dicembre 2023 è stato approvato un decreto legislativo sulla revisione dello strumento militare che ha aumentato da 150.000 a 160.000 le unità delle forze armate, a partire dal 1° gennaio 2034.
Costituirebbe invece reato il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata alle armi, in virtù del sacro dovere di difesa della Patria sancito dall’articolo 52 della Carta. Le uniche cause legittime di esclusione dal servizio bellico sono rappresentate da comprovati motivi di salute o dall’obiezione di coscienza, espressamente tutelata dalla nostra Carta fondamentale.
La proposta di Crosetto per ampliare i riservisti
Tra le novità in discussione per rafforzare la capacità difensiva dell’Italia c’è la proposta del Ministro della Difesa Guido Crosetto di ampliare il bacino dei riservisti. Si tratta di volontari con una formazione militare specifica, richiamabili in caso di necessità per compiti di supporto logistico e attività addestrative.
L’idea è quella di creare un organico militare di pronto impiego, evitando però di dover reintrodurre la leva obbligatoria. I riservisti verrebbero utilizzati soprattutto per funzioni logistiche, di addestramento, ciber-difesa e attività dual use, cioè sia civili che militari. Si tratterebbe di volontari che ricevono una formazione qualificata e che restano a disposizione per interventi rapidi in patria e missioni all’estero. Crosetto punta ad averne almeno 10.000, attraverso una campagna informativa per sensibilizzare i cittadini sull’importanza di questa componente. Il progetto rientra nell’ottica di rafforzare il ruolo della Difesa e la capacità dell’Italia di reagire alle crisi internazionali.
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