Carabinieri

Carabiniere ucciso, la vedova di Cerciello in aula: «Ho visto quello che non avrei mai dovuto vedere»

Un dolore che non passa mai. Rosa Maria Esilio, vedova di Mario Cerciello Rega, è stata ascoltata questa mattina nel processo per l’omicidio del marito: «Campo de fiori è come un paese, Mario era come un carabiniere di quartiere e anche oggi quando mi fermano emerge questo rapporto che aveva con la gente. Non è stato semplice, ma lui mi ha aiutato a rialzarmi. È diverso: non ci si rialza. Io sono un morto a occhi aperti, ho visto quello che non avrei mai dovuto vedere e sto cercando solo di dare continuità a quello che lui era, un uomo di valori. Essere la moglie di un carabiniere ha degli aspetti che non sono comprensibili per gli altri», dice.

Poi ripercorre la storia con il suo Mario, ucciso con undici coltellate nel quartiere Prati a Roma la notte del 26 luglio dello scorso anno, mentre Cerciello era in servizio con il collega Andrea Varriale. Sul banco degli imputati ci sono Finnegan Lee Elder e Christian Gabriel Natale Hjorth, arrestati poche ore dopo il delitto. A un certo punto, Elder esce dall’aula, scosso per le parole della moglie del carabiniere. 

“Ho conosciuto Mario nel 2010 – racconta Rosa Maria – mi ha corteggiata spudoratamente la prima cosa che mi disse è stata: “io ti voglio sposare”. Ho conosciuto Mario un anno dopo che aveva perso il padre, aveva 26 anni. Era un uomo all’antica. Abbiamo vissuto assieme tutti questi anni. Abbiamo curato i campi assieme. Lui viveva appieno la vita. Era un carabiniere preparato, coraggioso, disponibile, era questa la sua vocazione e forse anche la mia. Abbiamo costruito il nostro futuro con molti sacrifici. Un giorno mi ha detto: Ho trovato casa. E io ho risposto: Vengo con te. Abbiamo atteso di fare dei figli. In tutti questi anni si è dedicato ai senza tetto”. La giovane ricorda il marito e la sua “umanità senza confini. Abbiamo fatto volontariato, lui da più tempo di me. Se trovava un senza tetto lo aiutava ad alzarsi. Io non mi sarei mai aspettata quello che è successo. Voleva darmi sempre il meglio”.

E proprio quando erano riusciti a costruire una famiglia, poco dopo il matrimonio, l’orrore: “Eravamo complementari. Il 13 giugno 2019 è la data del nostro matrimonio. In viaggio di nozze siamo andati in Madagascar. Il 3 luglio sono rientrata al lavoro.  Il 13 luglio  era il nostro primo mese di matrimonio. Quel giorno lavoravo, ma ci siamo sentiti per sapere cosa preferisse per cena. Alle nove, rientrando, dopo essersi spogliato degli abiti che aveva mi ha detto: Bisogna lavare questi abiti, sono sporchi perché sono stato in stazione. Dalle 21 alle 23 siamo rimasti a casa, abitiamo vicino alla caserma. Ha messo il portafoglio con le manette nei jeans ha indossato una maglietta. Aveva un borsello. Manette e portafoglio con il tesserino li metteva nelle tasche anteriori, lo so perché gliele rinforzavo, si bucavano spesso. Mi ha salutato e quello è stato il nostro ultimo saluto”. Si sono sentiti per cellulare dopo mezzanotte, “perché era sant’Anna e abbiamo diversi parenti che si chiamano così”.

Alle quattro in punto una telefonata all’improvviso: “Mi avvisa mio cognato: è successo qualcosa a Mario e dalle parole del piantone ho capito che era successo qualcosa di grave. Io andavo in giro con Mario e non sapevo dove si trovava quell’ospedale. Ho chiamato i miei genitori e ho chiamato un collega che era al Santo Spirito. Ricordo che sono arrivata davanti alla caserma e improvvisamente è arrivato un taxi. Non ha voluto essere pagato. Arrivo in ospedale dall’auto del pronto soccorso ed erano tutti lì. Ma nessuno si è avvicinato. C’era il comandante. Ricordo di essere stata rapidissima a indossare gli abiti del giorno stesso e ad arrivare. Gli dissi qual era il mio gruppo sanguigno mi dissero di non preoccuparmi. Ho atteso sui gradini di una scala. Ho notato sul muretto il portafoglio di Mario gli altri oggetti. Ho dovuto chiudergli gli occhi, ma non ho voluto sedativi perché era l’ultimo incontro con lui e volevo ricordarmelo”.

In aula è anche stato sentito un collega di Cerciello, in servizio a piazza Farnese: “Siamo arrivati in ospedale all’ingresso del triage, stavano pulendo l’ambulanza piena di sangue. Dopo qualche minuto uno mi consegna le manette e il porta tesserino di Mario. C’era un muretto e mi sono seduto sul muretto. Rosa Maria si è presentata dopo poco.  Ero amico di Mario, lavoravo con lui da 10 anni. Alle quattro meno cinque eravamo in ospedale. Varriale è arrivato verso le quattro”.


Poi è stato il turno del fratello di Cerciello. Anche lui ha ricordato quelli tragica notte. “Mi chiamarono di notte verso le 4, dissero che Mario aveva avuto una colluttazione. Mi misi in macchina e arrivai da Napoli.  Avevamo un legame fortissimo, Mario ha sostituito mio padre che è morto quando avevo 19 anni. Ci aiutava in tutto, anche economicamente. Io allora vivevo a Ravenna dove lavora mia moglie che è carabiniere. Sono operatore ecologico. Mio fratello amava l’arma e la divisa fin da quando era piccolo. Dava anche una mano in campagna, gestiva da Roma me è mia madre, era il nostro punto di riferimento”.

Redazione articolo il Messaggero.it

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