Editoriale

Ammiraglio Matteo Bisceglia (Occar): “Guerra svela limiti difesa europea, investimenti insufficienti”

“Il ritorno della guerra sul suolo europeo ha portato alla luce i limiti della difesa europea, ovvero l’assenza di un adeguato livello di coordinamento delle politiche di difesa nazionali degli Stati membri. Un maggiore ed efficace coordinamento politico è indubbiamente una delle prime necessità da soddisfare”.

Lo dice all’Adnkronos l’ammiraglio Matteo Bisceglia, direttore dell’Occar (organizzazione internazionale tra Stati europei in materia di armamenti). “La possibilità di tessere relazioni intra-europee ad adeguato livello politico, ritengo possa favorire il mutuo riconoscimento di capacità tecnologiche disponibili sul territorio europeo, nonché la definizione di interessi e gap capacitivi comuni – spiega – allo scopo di colmare tali gap attraverso programmi cooperativi e collaborazioni sul piano industriale”.

“Un tale coordinamento agevolerebbe anche le decisioni, necessariamente condivise, su eventuali azioni da intraprendere, non solo in campo militare. Ritengo che il coordinamento politico debba altresì contrastare forme di protezionismo dell’industria nazionale, ‘spronando’ l’industria a forme di cooperazione, pur accettando la possibilità di cedere attività in un determinato settore, recuperandolo in altri campi e su un orizzonte temporale più ampio. La politica riveste a mio avviso un ruolo chiave per incentivare forme più efficaci della spesa della difesa, ricercando programmi che possano massimizzare l’innovazione, ridurre il rischio di duplicazione, promuovere interoperabilità e standardizzazione, nonché favorire una base industriale competitiva e innovativa”. A questo proposito, aggiunge Bisceglia, “ritengo che gli investimenti nella difesa da parte degli Stati Membri nell’ultimo decennio siano insufficienti sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo per lo sviluppo e l’approvvigionamento di capacità necessarie per colmare gli attuali gap capacitivi. Ancorché l’Unione Europea abbia avviato molteplici iniziative nel campo della difesa, ritengo che il percorso per colmare il gap con altre Nazioni leader a livello mondiale e garantire una maggiore autonomia, sia ancora lungo e articolato”.

“Nonostante il target del 2% del Pil riferito agli investimenti nella difesa appaia pienamente condiviso da parte degli Stati Membri dell’Alleanza Atlantica, credo che persista un significativo disequilibrio in termini di investimento che certamente non incentiva gli Stati a procedere lungo la medesima direttrice, ovvero verso una difesa comune in Europa. Sulla base dei dati ufficialmente pubblicati, in Europa diversi Stati hanno raggiunto la soglia del 2% del Pil; la Francia è una di queste e la Germania, che con l’impegno di investire 100 Miliardi di euro, ha posto le basi per raggiungere la soglia prefissata. Sul fronte italiano, nel 2022 la spesa nella difesa ammonta a circa 1,4% del Pil, ben al di sotto della soglia del 2%”.

“E’ innegabile che gli sforzi economici non sono compensati da un adeguato ritorno tecnologico. Infatti – spiega – nel complesso gli Stati europei investono nel settore della ricerca circa la metà rispetto agli investimenti degli Usa, con risultati, in termini di efficacia, nettamente inferiori (1/10). Il motivo risiede principalmente in una frammentazione degli investimenti e nella duplicazione degli sviluppi e delle produzioni dei vari assetti”.

“La Difesa Comune Europea è una delle più attuali e principali tematiche incluse nelle agende di molteplici consessi internazionali. Tuttavia, nonostante le numerose iniziative adottate dall’Unione Europea negli ultimi anni, gli Stati Membri non collaborino a sufficienza nel campo della difesa. Il ruolo di Direttore di Occar, l’Organizzazione congiunta per la cooperazione in materia di armamenti che gestisce programmi europei di cooperazione nel campo degli armamenti, mi ha dato l’opportunità di osservare da differenti prospettive i numerosi fattori, sia industriali che governativi, che oggi riducono le possibilità di cooperazione e, conseguentemente, la costituzione di un esercito europeo” dice ancora all’Adnkronos Biscegli.

“E’ ineludibile che la necessità di efficientare la spesa delle difesa, attraverso una europeizzazione dei sistemi d’arma, è ormai condivisa a livello europeo. Tuttavia, aver maturato tale consapevolezza non è sufficiente. Occorrono azioni concrete. A mio avviso, è necessario in primo luogo ricercare e favorire livelli di interoperabilità e di integrazione sempre più spinti, tali da consentire il governo delle operazioni indipendentemente dalla nazionalità. Obiettivo che, appunto, non può prescindere in primo luogo da una sostanziale razionalizzazione dell’industria della difesa comune in Europa. La propensione degli Stati a privilegiare gli interessi dell’industria nazionale a discapito dell’efficacia tecnica ed economica, costituisce un ostacolo lungo il percorso della difesa comune europea”.

“Infatti, gran parte delle attività di procurement procedono secondo una direttrice prevalentemente nazionale. Ciascun Stato Membro sviluppa e produce una propria fregata, un proprio carro armato o aereo militare. Ciò genera frammentazione, inefficacia della spesa e conseguentemente indebolimento della compagine industriale nazionale per via di ridotti investimenti nella ricerca e sviluppo. E altresì vero che in Europa esistono delle realtà industriali che possono rappresentare esempi di industria europea, ma sono esempi limitati se si vuole tendere ad una reale difesa europea. Dunque, è necessario affrontare ed eliminare lo scontro tra le industrie in Europa, nonché favorire la competizione verso i colossi mondiali, eliminando lo scontro interno. Ciascuna industria deve poter operare nel settore in cui ha maggiori capacità e possa dare maggiori garanzie di affidabilità ed efficacia. Ci sono compagini industriali in grado di realizzare le piattaforme, siano esse aeree, navali, terrestri, in virtù dell’esperienza maturate, lasciando alle industrie specialistiche di nicchia il mercato degli assetti. Ciò rappresenta dal mio punto di vista un primo passo fondamentale per favorire la nascita di una forza di difesa europea”.

“In qualità di Direttore di Occar gestisco 16 programmi cooperativi di armamento, con previsione di crescita fino a 21 entro il 2022 e 29 nel 2023, per lo sviluppo di assetti capacitivi nei principali domini della difesa. Programmi che Occar può gestire per l’intero ciclo di vita, dallo prime fasi di definizione e sviluppo, nonché produzione e supporto in servizio, fino alla dismissione dei sistemi. Ancorchè non possiamo ritenerci soddisfatti in generale dei livelli attuali di cooperazione a carattere generale e ritenendo che i benefici di collaborazione possano derivare in ogni settore della difesa, dalla mia prospettiva ritengo che in Europa gli stati debbano profondere maggiori sforzi per favorire forme di cooperazione nelle fasi di supporto in servizio. Infatti, sulla base di esperienza personale, frequentemente si assiste a programmi di collaborazione che vengono interrotti al termine della fase di produzione, ovvero alla consegna dei sistemi” aggiunge.

“Per sistemi sviluppati in cooperazione, in fase di ammodernamento di mezza vita, si assiste a una divergenza di soluzioni a causa di interessi meramente industriali supportati dagli stati interessati. Se si considera che il costo della fase di supporto in servizio equivale a circa 3 volte il costo del Sistema prodotto, risulta immediato rendersi conto che gli Stati possano trarre enormi vantaggi – sia in termini economici che operativi attraverso forme di collaborazione nella gestione della fase di supporto in servizio”.

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