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Difesa, doppia partita per le nomine chiave: si delinea la successione per Segredifesa/DNA e la corsa a tre (forse) per il comando dell’Arma

Un autunno caldo scuote i palazzi del potere italiano, dove si consuma una partita delicata per le nomine ai vertici della Difesa e dell’Arma dei Carabinieri. Al centro della scena, una storica prima volta: Luisa Riccardi rompe il soffitto di cristallo diventando la prima donna Segretario Generale della Difesa seppure ad interim.

La sua nomina, tuttavia, è più figlia dell’impasse decisionale del governo che di una scelta strategica: il ruolo è vacante da quasi un mese, da quando Portolano ha lasciato l’incarico, senza che si sia riusciti a individuare un successore definitivo.

Un curriculum d’eccellenza il suo, dalla laurea in Scienze statistiche ed economiche alla Sapienza fino alla direzione del V Reparto del Segretariato, passando per incarichi di prestigio nei CdA dell’Agenzia Spaziale Italiana e dell’ENAC.

L’eredità Di Paola e il futuro del Segretariato

Per la successione definitiva al Segretariato, emerge l’Ammiraglio Credendino, attuale Capo di Stato Maggiore della Marina Militare.

La sua candidatura acquisisce particolare rilevanza considerando che, dalla sua istituzione negli anni ’60, solo due ammiragli hanno ricoperto questo prestigioso incarico, l’ultimo dei quali fu Giampaolo Di Paola figura che ha saputo scalare i vertici militari fino a diventare Capo di Stato Maggiore della Difesa e poi Ministro nel governo Monti.

Credendino porta con sé un curriculum di tutto rispetto. Nato a Torino nel 1963, ha dedicato oltre quattro decenni al servizio della Marina Militare. La sua carriera è costellata di incarichi di comando significativi, dalle operazioni Atalanta e Sophia fino alla guida dell’operazione Irini.

La crisi dei Carabinieri: un comando in bilico

Ma è sulla successione al generale Teo Luzi al comando dei Carabinieri che si gioca la partita più complessa. Con la scadenza del 13 novembre alle porte, tre nomi dominano la scena: il vice comandante Salvatore Luongo, il Capo di Stato Maggiore Mario Cinque, e il comandante Pastrengo Riccardo Galletta. Sullo sfondo, gli outsider Andrea Rispoli della Forestale e Marco Minicucci al comando dell’Ogaden.

Il “caso Luongo” e i retroscena di palazzo

La candidatura di Luongo, sostenuta dal ministro Crosetto, nasconde interpretazioni contrastanti. Il suo percorso, dall’ufficio legislativo della Difesa sotto tre governi diversi, è oggetto di speculazioni. Un passaggio chiave ha alimentato il dibattito: nell’ottobre 2023, contro ogni previsione, non è stato nominato capo di gabinetto del ministro Crosetto – posizione andata al generale Iannucci – ma è stato reintegrato nell’Arma dalla quale “mancava” dall’agosto 2016.

Una mossa che alcuni leggono come un raffreddamento dei rapporti con il ministro, altri come una sapiente strategia per mascherare il favore di Crosetto in vista della futura nomina a comandante generale.

Il braccio di ferro Crosetto-Mantovano e la carta Luongo

La nomina del nuovo comandante dell’Arma si trasforma in un delicato test per gli equilibri di governo. Seguendo una prassi consolidata, spetta al ministro della Difesa proporre il nome del successore al Consiglio dei ministri.

Crosetto avrebbe già fatto la sua scelta, inserendo (pare) “in busta” il nome di Luongo, e nell’ultimo Cdm era pronto a formalizzare la proposta per garantire un passaggio di consegne lineare. Ma lo scenario si complica con l’intervento di Mantovano, che sostiene con fermezza la candidatura di Mario Cinque.

A favore di Cinque giocherebbe non solo il suo stretto rapporto con l’attuale comandante Luzi, di cui ha raccolto il testimone come capo di stato maggiore nel 2021 e quindi profondo conoscitore delle dinamiche dell’Arma, ma anche le sue riconosciute doti di umanità, neutralità e fermezza.

La deadline del 13 novembre e gli scenari futuri

Con la scadenza del 13 novembre alle porte, tocca a Giorgia Meloni trovare la quadra in un puzzle sempre più complesso. Il tempo stringe, con solo un paio di Consigli dei ministri utili per evitare il ripetersi del precedente della Guardia di Finanza, quando il successore di Zafarana, De Gennaro, fu nominato dopo non poche fumate nere nelle varie riunioni del governo.

Ma le conseguenze potrebbero andare oltre la nomina del comandante: si parla di un Mantovano stanco delle guerre intestine, che potrebbe virare verso il Ministero della Giustizia.

Un effetto domino che coinvolgerebbe anche l’attuale Guardasigilli Nordio, per il quale si profila un approdo alla Corte Costituzionale, dove a dicembre si liberano quattro seggi. Voci di corridoio che agitano i palazzi, mentre l’unica certezza rimane la data del 13 novembre, quando il generale Luzi concluderà il suo mandato triennale.

Le nomine, tallone d’Achille del governo Meloni

La premier Meloni si trova ora a dover mediare in questa complessa partita che intreccia competenze tecniche, equilibri politici e ambizioni personali, in un momento importante per le istituzioni militari del paese. Una cosa appare sempre più evidente: questo governo, quando si tratta di nomine strategiche, va sistematicamente in tilt.

Lo dimostrano i precedenti della Guardia di Finanza, le tensioni sulla guida DNA e ora la difficile partita dei Carabinieri, dove gli scontri interni alla maggioranza rischiano di paralizzare scelte determinanti per la sicurezza del paese. Un copione che sembra ripetersi, evidenziando una fragilità sistemica nella gestione delle successioni ai vertici delle forze dell’ordine e della difesa.

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