Carabinieri

10 ANNI E 4 MESI PER IL MARESCIALLO DEI CARABINIERI CONDANNATO PER CONCUSSIONE, STUPEFACENTI ED ARRESTI ILLEGALI

Dieci anni e quattro mesi all’ex maresciallo Andrea Grammatico, ex vice comandante della stazione dei carabinieri di Vescovato; quattro anni e sei mesi a Marco Pizzi, titolare del locale insieme al cugino Gianluca, quest’ultimo condannato a due anni; nove mesi a David Mazzon, ex titolare del Tabù di Vescovato, e un anno e quattro mesi a Ilham El Khalloufi, moglie marocchina di Marco Pizzi.

Per Grammatico, il pm Francesco Messina aveva chiesto sette anni e sei mesi; per i cugini Pizzi quattro anni e sei mesi ciascuno; tre anni per Mazzon e il minimo della pena per Ilham El Khalloufi.

Diverse le accuse contestate agli imputati: i Pizzi erano accusati di aver favorito la prostituzione delle ragazze nel locale e di aver ceduto cocaina ai clienti facoltosi; Grammatico, invece, di aver portato all’interno del Juliette la cocaina, dandola ai cugini Pizzi, che a loro volta la regalavano ai clienti. L’ex militare doveva anche rispondere dei reati di falso ideologico in atto pubblico, tentata concussione, concussione consumata, omissione di atti di ufficio, reati commessi in servizio, calunnia e rivelazione di segreto d’ufficio. David Mazzon, da parte sua, era accusato di aver ceduto cocaina a diverse persone, tra le quali l’ex maresciallo Grammatico, mentre Ilham El Khalloufi di aver favorito la prostituzione nel locale.

 

Come deciso dai giudici, il solo Grammatico, che era anche accusato di aver effettuato arresti illegali, insieme al ministero della Difesa e quello dell’Interno, dovrà risarcire con una provvisionale di 6.000 euro la parte civile, rappresentata da Amritpal Singh, 36enne indiano assistito dall’avvocato Ugo Carminati. Lo scorso 30 gennaio l’indiano era stato assolto con formula piena dall’accusa di tentata violenza sessuale nei confronti della cognata di 27 anni. L’episodio risale al 18 aprile del 2015 a Robecco d’Oglio, quando il 36enne era stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale dall’allora vice comandante della compagnia di Vescovato. Era stato l’avvocato Carminati a citare come responsabili civili il ministero della Difesa e quello dell’Interno. Il primo, in quanto l’ex carabiniere, al momento dei fatti, aveva agito in qualità di militare in divisa e con la macchina di servizio; il secondo, per il ruolo di agente di pubblica sicurezza che dipende direttamente dal ministero dell’Interno.

Dal procedimento erano già usciti tre imputati: l’ex appuntato dei carabinieri di Vescovato Massimo Varani, processato con il rito abbreviato e condannato a 3 anni e 8 mesi di reclusione. La sua posizione riguardava una parte di inchiesta non legata ai business illeciti del Juliette. Processato con il rito abbreviato e condannato il bresciano Matteo Pasotti a 2 anni e 3.000 euro di multa, mentre Emilio Smerghetto, di Crotone, residente a Padenghe sul Garda, aveva patteggiato 2 anni e 8 mesi. Pasotti e Smerghetto erano accusati di aver favorito la prostituzione nel locale. Insieme ai Pizzi avevano procurato le ragazze squillo, chiamate nelle intercettazioni ragazze “giuste” o ragazze “sportive” o “da combattimento”. Le giovani, pronte a vendersi con tariffe tra i 400 e i 1.000 euro, erano per la maggioranza italiane. Molte le studentesse universitarie. In particolare, sia a Smerghetto che a Pasotti la procura contestava di aver favorito la prostituzione di numerose ragazze e di aver assunto il ruolo di intermediari tra le ragazze e i beneficiari delle prestazioni sessuali, organizzando gli incontri, a seconda delle richieste, al Juliette o in altri locali, oppure presso alberghi o motel, accompagnando a volte le giovani sul posto e percependo sempre una percentuale sui compensi.

I difensori degli imputati a processo erano Renato Vigna per Grammatico (nessuno dei due oggi era presente in aula), Giacomo Nodari e Massimo Nicoli per Gianluca Pizzi, Massimo Vappina e Walter Ventura per Marco Pizzi, Massimo Nicoli per l’ex titolare del Tabù di Vescovato David Mazzon e Fabrizio Vappina per Ilham El Khalloufi.

“Sono contento di aver deciso di affrontare il processo”, ha commentato l’avvocato Nicoli. “Ora siamo fiduciosi per l’appello, visto che i nostri assistiti erano incensurati”. “Porteremo avanti tutti i gradi di giudizio”, ha aggiunto Gianluca Pizzi. “Intanto un bel passo avanti è stato fatto”. Suo cugino Marco ha respinto ancora una volta ogni responsabilità: “faremo appello sicuramente”, ha detto. “Mi dichiaro tutt’ora innocente e vittima di un sistema. E’ stata messa in piazza la vita privata di una persona, nessuno ha mai detto che io cedevo droga, nè ho mai imposto a nessuno di prostituirsi. Se qualcuno lo ha fatto, lo ha fatto di sua spontanea volontà”.

In mattinata, prima che i giudici si riunissero in camera di consiglio, hanno parlato gli ultimi due legali che dovevano ancora esporre le loro conclusioni: gli avvocati Fabrizio Vappina per Marco Pizzi e Walter Ventura per Ilham El Khalloufi. L’avvocato Vappina si è rifatto alla decisione rivoluzionaria della Corte d’appello di Bari che ha ritenuto fondata, trasmettendola alla Corte Costituzionale, l’eccezione sollevata a Bari dai difensori di Giampaolo Tarantini e Massimo Verdoscia, condannati in primo grado per avere reclutato una serie di ragazze da presentare alle cene di Silvio Berlusconi. In sostanza, diversamente da quanto sostiene la legge Merlin, per la Corte d’appello di Bari quello di vendere il proprio corpo è un diritto tutelato dalla Costituzione per le escort: libere professioniste che liberamente vendono il proprio corpo. “In più”, ha aggiunto il legale, “i Pizzi non avevano la gestione delle ragazze, non hanno preso i soldi da loro, non c’era alcuna organizzazione, e cioè non si sa se un atto sessuale sia avvenuto in cucina, oppure in un ufficio o nell’appartamento, e non c’è sfruttamento: oggi la libertà sessuale permette di disporre del proprio corpo”. E sulla droga, “sì i Pizzi la acquistavano, ma non è provata la cessione”.

Parlando della posizione della moglie di Marco Pizzi, l’avvocato Ventura ha detto che “gli elementi di prova a suo carico sono carenti. Nei cinque faldoni di indagine il suo nome viene fatto con il contagocce e non ci sono elementi che in modo diretto possano far capire che stava commettendo il reato di cui la si accusa. E’ una ragazza che lavora come insegnante di sostegno e che lavorava in un negozio di abbigliamento. Il negozio poi è stato chiuso e così lei aiutava all’interno del locale prendendo 70 euro. Alle 7 del mattino si alzava per andare a scuola e di certo non aveva tempo per organizzare serate strane”.

Sara Pizzorni per Cremona Oggi

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