Giustizia

Violenza sessuale di gruppo su una 18enne, assolti perché «hanno frainteso il suo consenso»

«Errata percezione del consenso». Dove per consenso si intende quello che deve essere dato prima di ogni atto sessuale. Con questa spiegazione il gup (Giudice per l’udienza preliminare) di Firenze ha motivato nella sentenza la decisione di assolvere due imputati 19enni all’epoca del fatto, accusati di violenza sessuale di gruppo ai danni di una diciottenne durante una festa in casa in provincia di Firenze.

Tradotto: hanno frainteso, pensavano che lei fosse d’accordo.

Siccome lei era ubriaca, quindi non in una condizione di lucidità, e siccome in passato, come è emerso durante il processo, la ragazza aveva avuto rapporti sessuali con uno degli imputati, i due hanno pensato che il consenso fosse scontato.

«L’errata percezione» da parte degli imputati «se non cancella l’esistenza oggettiva di una condotta di violenza sessuale, impedisce di ritenere penalmente rilevante la loro condotta» ha messo nero su bianco il giudice.

Insomma, l’hanno stuprata sì, ma «in buona fede».

Quindi, dal momento che il delitto di violenza sessuale non è punibile a titolo di colpa, ma presuppone il dolo, l’intenzione di commetterlo, e non esiste “lo stupro colposo” per distrazione o negligenza, il loro aver “frainteso” sì fa sì che i due non siano punibili.

Eppure il giudice riconosce che oggettivamente violenza c’è stata.

Eppure come racconta il quotidiano Il Tirreno, lei durante la violenza ha urlato più volte «Smettetela».

Ma poiché a giugno lei era stata «consenziente», loro stavolta hanno frainteso: ci stava ieri, ci sta anche oggi.

Ma il giudice di Firenze va anche oltre: per dare una spiegazione alla condotta sbagliata degli imputati dice che questi avrebbero agito «condizionati da un’inammissibile concezione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile forse derivante da un deficit educativo e comunque frutto di una concezione assai distorta del sesso». Spiegazione che diventa una giustificazione: non è colpa loro: sono cresciuti così. Per forza, poi, sono stati indotti in errore.

Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra, segretaria della commissione bicamerale di inchiesta sul femminicidio su questo punto ha preso una posizione netta: «La concezione distorta del sesso non li ha indotti in errore è, secondo me, l’errore originario». E anche per la senatrice dem Cecilia D’Elia, vicepresidente della stessa Commissione, «la (in)cultura dei ragazzi non può mai diventare una scusante. Ancora una volta si finisce per banalizzare quello che è successo».

Si è parlato di sentenza choc, ma forse non è corretto definirla così. È una sentenza imbarazzante e pericolosa. Perché crea un precedente in un ambito ancora da perfezionare nella giurisprudenza italiana, quello sul consenso in tema di rapporti sessuali. Il consenso si dà o non si dà. O è «si» o è «no». E il consenso può essere revocato in qualsiasi momento del rapporto sessuale (come riconosciuto dalla Corte di Cassazione). Non esiste una terza via, «tertium non datur».

Invece, secondo questo pronunciamento, esisterebbe anche una «errata percezione del consenso». Esiste il “mi sembrava un sì” che diventa la chiave per non punire una violenza che oggettivamente c’è stata. Ma che, interpretata così, non costituisce più reato.

Ma c’è dell’altro.

Ogni sentenza riporta la valutazione di un giudice ma in qualche modo racconta e riflette un sentire, una cultura, un’epoca. E in questo caso, purtroppo, sembra riemergere quella “cultura dello stupro” che ancora ristagna sotto le relazioni tra maschi e femmine e che tende a giustificare la violenza anziché combatterla e a colpevolizzare le donne che la subiscono.

C’è da sperare che in Appello o in Cassazione questa sentenza venga ribaltata. Ma è solo l’ultima di una serie di pronunciamenti analoghi e dunque anche per questo non costituisce uno choc, ma la conferma di una cultura che non cambia. E del fatto che, come sottolinea anche l’ultimo dossier parlamentare sui femminicidi, c’è ancora molto da lavorare sulla formazione di giudici, avvocati e periti forensi sul tema della violenza alle donne, sulla consensualità, sulla vittimizzazione secondaria.

Poche settimane fa, tanto per fare un esempio, fa fece clamore la sentenza con la quale il tribunale di Roma assolveva il bidello dell’istituto Cine Tv Roberto Rossellini denunciato da una studentessa di diciassette anni che era stata palpeggiata dall’uomo: il giudice riconobbe il gesto come un «atto scherzoso» e poiché era durato meno di 10 secondi, non era ragionevole parlare di violenza. Secondo i giudici, infatti, una molestia della durata compresa “tra i 5 e i 10 secondi”, come dichiarato dalla stessa ragazza, più che una violenza avrebbe rappresentato una «manovra maldestra ma priva di concupiscenza». Di qui la grande polemica social con l’hashtag #10secondi. Che valore ha il mio consenso se è reso nullo dal calcolo della durata temporale della molestia?

Ma l’elenco delle sentenze imbarazzanti sarebbe lungo.

Ora più che mai, di fronte a queste assurde posizioni giudiziarie, andrebbe ribadito che anche in Italia, come giàè stato fatto in Spagna e in altri paesi europei, sarebbe necessario introdurre nella legge sulla violenza sessuale il tema del consenso: ovvero modificare l’articolo 609-bis del Codice penale e considerare reato qualsiasi atto sessuale senza consenso esplicitamente espresso. Perché di fronte a una mentalità che non cambia, forse una legge più precisa può aiutare a stimolare un cambiamento culturale e far capire soprattutto ai giovani che il sesso implica il consenso. E che questo va verbalizzato chiaramente.

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