Giustizia

Venne uccisa dal marito carabiniere, nessun risarcimento per le figlie

Nove anni fa una donna è stata uccisa dal marito, carabiniere poi suicida. Le figlie avevano chiesto un risarcimento al tribunale per quanto accaduto, spalleggiate dai parenti della donna, nei confronti della presidenza del Consiglio dei ministri e dei ministeri della Difesa e della Giustizia. Il tribunale civile di Palermo però ha rigettato la domanda. Nel 2018 era stata presentata la domanda perché si accertasse un’eventuale omissione da parte dell’Arma dei carabinieri che, secondo l’accusa, non avrebbe agito in modo adeguato nei confronti dell’uomo per scongiurare la tragedia. Secondo il tribunale, però, quelle richieste erano prescritte o infondate.

La prescrizione arriverebbe, secondo quanto riportato dal giudice, per un ritardo nella presentazione della denuncia e dunque per il “decorso del termine di cinque anni dall’omicidio”. Eppure i superiori di Rinaldo D’Alba erano stati informati dalla vittima, Lisa Siciliano, delle violenze domestiche, delle botte e dell’atteggiamento denigratorio e violento. L’epilogo, però, è quello più triste: nel 2012 Lisa viene uccisa dal marito a 37 anni. Lui le ha sparato contro, nella loro camera da letto, con la pistola d’ordinanza. Le due figlie erano allora due bambine: una di 12 anni e l’altra di 5.

Entrambe cercavano di sfondare la porta della stanza per soccorrere la mamma. In quel momento, il carabiniere si suicidò con la stessa pistola. I parenti che hanno adottato le due bambine ormai orfane hanno vissuto il dramma di un trauma simile in tenera età. Sostengono che l’omicidio-suicidio potesse essere evitato anche solo togliendo all’uomo la pistola d’ordinanza. “Bastava togliergli l’arma, allontanarlo dalla moglie e dalle figlie e non assegnargli alloggio nella stessa caserma” sostiene l’avvocata Vanessa Fallica, che da anni segue la famiglia. Un’altra prescrizione era arrivata in sede penale appena l’anno prima. Il reato contestato era quello di omissione e doveva essere accertato in sede civile. Anche l’, dopo 8 lunghi anni di indagini, una prescrizione.

La sorella di Lisa, Manuela, è divenuta madre adottiva delle bambine della vittima. Ha presentato un esposto al Csm per le lungaggini durante l’inchiesta. L’avvocata, però, spiega che non hanno mai ricevuto alcuna risposta. “Una sentenza di questa superficialità è offensiva nei confronti delle due ragazze – spiega ancora Manuela -. Non c’è stata volontà di sapere la verità e non sono state prese in considerazione le prove”. Neppure un messaggio vocale di 23 minuti registrato da Lisa un anno prima della sua morte. Si rivolge al giudice che doveva decidere sulla separazione dal marito che la picchiava. Raccontava le ferite riportate e spiegava di aver anche raccontato cosa accadesse al comandante della caserma di allora che aveva spostato in un altro alloggio l’appuntato.

Lascia un commento

error: ll Contenuto è protetto